Ormai sono qui. E da domani lavorerò di brutto. L'importante è che tutto questo e molto altro ci sia stato. In parte non se ne andrà mai. Condividere e veicolare le proprie passioni a persone alle quali vuoi bene è un privilegio di pochi.
Atterrata. In tutti i sensi. Come mi fece notare un saggio qualche tempo fa: non atterrare sarebbe stato peggio.
Senza dubbio.
Eppure la planata non è mai indolore. Almeno per me.
Ancor più di altre volte mi sembra di tornare ad una vita che mi appartiene meno di quella ho lasciato laggiù (o lassù). Certo, la casa è più grande del “loculo”, in bagno c’è la vasca, la micia ha fatto le fusa per un minuto e mezzo ed è rimasta in braccio per almeno tre minuti. Domani mi concederò telefonate degne di chiamarsi tali, posso navigare, sono circondata dagli affetti, eppure per adesso, stasera mi sento mancante di una parte di me stessa. Non si può avere tutto e ciò che ho è moltissimo, persino troppo: della grammatica farei volentieri a meno. E, certamente, la forca grammaticale che mi attende da domani incide non poco sull’umor nero di stasera, ma appena ieri sera potevo concedermi una meraviglia di spettacolo nel West End. Ora un bagno in una vasca. Questo rimane. Non vedo l’ora di ripartire, per riprendere da dove ho lasciato.
La vita è assurda - per quanto interessante - ben più di quanto l'immaginazione umana possa concepire e inventare. Infatti, ci si può costruire una cultura sulle regole di gioco del baseball, mentre si scrive una grammatica.
Ho inaspettatamente trovato in posta questo piccolo grande delizioso omaggio e ho deciso di condividerlo (ora che, grazie all'intervento dell'ideatore e tecnico del presente sito, il benemerito ilgrandevuoto da Roma, finalmente ho capito come postare anche da YouTube). La mia numerazione circa i top 20 about Joey e Pacey non sarebbe questa: al primo posto in assoluto metterei: “The wall” da “You bought me a wall?” ad “Ask me to stay: impulsiva eppure tenera richiesta di SOS” a “sono rimasto qui un’ora e mezza […] perciò ho deciso che ora tocca a te guardare”.
La noia, l'obbligata immobilità, le gare di lancio del peso e della partenza della 20 km a Pechino in tv suggeriscono di affacciarsi in terrazzo a scrutare le nuvole. Il bisogno di camminare per più di due metri impone di arrivare fino nello studio, prendere la macchina fotografica e cercare di immortalare l'apprezzabile luna che irrompe luminosa tra la nuvolaglia grigia.
Tra una frase e l'altra, tra versi, slogan e stralci di canzoni (quasi sempre senza verbo portante, accidenti!), cerco sterline e mi nutro pressoché soltanto di gelato, di fette di pane con burro e marmellata di lamponi e delle dirette olimpiche notturne. Andar per banche senza l'ormai divisa ufficiale del prendisole giallo e piluccare versioni di latino è stato divertente e ricreante. Segni di chiaro incontenibile squilibrio di origine grammaticale? Probabilmente sì, ma sono sopravissuta a congiunture peggiori. E poi basta uno sguardo alla nuvoletta con pioggia scrosciante nell'angolo dello schermo o alla valigia aperta in camera per presagire e sorridere e scrivere. Ancora.
L'ora d'aria che mi sono autoconcessa dal carcere grammaticale mi ha riconsegnato alla vita e mi ha anche ricordato che forse ho le energie per godermela. D'altra parte essere riuscite a venire a capo di 80 pagine deve rendere più leggeri, per quanto non abbia ben chiaro come sbarcare e sopravvivere alla unità e alle unita successive. Vedremo anche stavolta se sarà la grammatica ad essere domata, a trasformarsi in qualcosa di definito e leggibile o sarò io a stramazzare a terra. Nei giorni scorsi non sono stramazzata, ma trascinata sì: dallo studio al letto al divano con pc appoggiato sulla gambe e ventola quasi sempre disperatamente in funzione. Andava meglio soltanto con il ventilatore acceso e puntato appunto direttamente sul pc. Uno dei pochi conforti era la certezza che cento km più a nord Qualcuno vegliava su quelle stesse stupide frasi e consegne e avrebbe vigilato sulle mie eventuali cazzate scappate alla tastiera in notturno. Come sempre, mi basta poco per tornare a sorridere e rinascere dalle ceneri, alla fin fine è estate, è caldo, tra colazione pranzo cena potrò riguardarmi decentemente la cerimonia d'apertura dei giochi olimpici e tornare a piangere, mi merito il primo gelato Monterosa post-Berlino, mi fa piacere portarlo ad amici, mi fa piacere di guidare e guidare ascoltando It's so easy, Heartbeat, Early in the morning, Everyday di Buddy Holly, che volevo da più di un decennio e che si imbattuto in me per caso alla cassa di uno dei tre Starbucks di Berlino. E fra due settimane parto per la mia città. Posso sorridere. Almeno stasera.
E' proprio vero: certi classici non tramontano mai. Ogni volta li ascolti (quasi) incantata. C'è poco da fare. E allora ogni tanto ascoltiamoli. Fanno sempre bene.