giovedì 30 luglio 2009
Scintille di straordinarietà
"Il pubblico vuole le cose belle" sostiene Roberto Bolle, occorre "forzare" per ottenere spazi soprattutto sui media rivolti al grande pubblico di massa, il quale, però, se sollecitato, risponde in gran numero e apprezza. Nessuno posto vuoto c'era, infatti, mercoledì sera a Boboli per "Bolle and Friends" di fronte al palco nel catino artificiale, piuttosto scomodo oltretutto, con le minisedie che tagliavano le schiene a metà, senza permettere agli spettatori di appoggiarsi nemmeno per un attimo. Il giardino, invece, era magnifico, fiabesco, quasi sospeso nel nulla in una serata torrida, come le sere di luglio inoltrato devono essere. Lo spettacolo è stato subblime; Roberto Bolle unico, straordinario ed emozionante così come i suoi "Friends", tutti principal delle più importanti compagnie mondiali di danza. E' dovere dell'artista - ha sostenuto ancora Bolle in un'intervista di qualche tempo fa - uscire dai teatri e promuovere non il gossip intorno alla propria persona bensì l'arte. Ed è ciò che Bolle, forte del suo talento, forte della sua scintilla di passione per l'arte ha fatto e si impegna a fare. Ha un proprio pensiero e riesce a trasmetterlo, è in grado di esprimersi decorosamente in lingua italiana, conosce persino i congiuntivi. Un ambasciatore dell'arte, della danza e della cultura italiana nel mondo, con un modo di fare umano, educato e corretto che non si impone con l'aggressività, con gli urli, appunto unico o appartenente ad una specie in via d'estinzione.
martedì 28 luglio 2009
Aaron Sorkin by night
Possibile che i telefilm firmati Aaron Sorkin, francamente tra i migliori scritti negli ultimi anni, siano relegati ai nottambuli o a chi si ricorda ogni giorno di controllare i programmi tv e programmare adeguatamente il timer del VCR?
Anche Studio 60 on the Sunset Strip è stato relegato alle 2-3 di notte su Italia, The West Wing alle 5-6 del mattino il sabato e la domenica su Rete4. Che pena!
http://www.imdb.com/title/tt0485842/
http://www.tvblog.it/post/4869/studio-60-on-the-sunset-strip
http://www.tv.com/studio-60-on-the-sunset-strip/show/58214/summary.html
lunedì 27 luglio 2009
Three years to go
27 luglio 2009
Counting down to 2012.
It's just three years to go before the start of London's Olympic Games.
I'm counting down.
http://www.london2012.com/
Counting down to 2012.
It's just three years to go before the start of London's Olympic Games.
I'm counting down.
http://www.london2012.com/
domenica 26 luglio 2009
Il Drago
Il Grifondoro non è il Leon d'oro - sia chiaro - e nemmeno il Grifone, il nostro grifondoro è chiaramente, ovviamente il rione del Drago, quello con le bandiere verdi (scure) e rosse, quello con i draghetti verdi su campo rosso. Il palio di S. Iacopo era troppo pericoloso e difficilmente seguibile per un pubblico moderno che ama le gradinate e sarà destinato ad apprezzare la diretta tv, così a Pistoia si inventava la giostra dell'orso, un po' palio un po' giostra del saracino. Da piccola ad ogni inizio di luglio pistoiese esponevo alla finestra di via Nemoreto la bandiera rosso-verde, una bandiera più grande di me, cucitami per l'occasione dalla mamma. La sfilata notturna con la banda mi procurava ogni volta un gran mal di stomaco, le rullate dei tamburi rimbombavano nel mio stomaco. Non le tolleravo. Adoravo invece le majorettes. Piangevo, scappavo e mi sottraevo ai fuochi artificiali, adesso li ignoro. Continuo invece a seguire la giostra, a tifare per il Drago (anche se tecnicamente, logisticamente apparterrei ad un altro rione, ma non si cambia bandiera con un o per un trasloco), continuo a coccolare nella mente quell'immagine di me piccina con la bandiera rosso-verde che mi sovrasta. E non molto è cambiato, a parte me, visto che Gino Culatore è di nuovo, per l'ottava volta speron d'oro come il 25 luglio del 1982, quando una bimba di dieci anni e mezzo sventolava convinta la bandiera del Drago per lui, per la nostra città piccina picciò, eppur sempre la nostra città.
http://www.giostradellorso.it/
http://www.giostradellorso.it/
venerdì 24 luglio 2009
The holiday
Adoro suggerire, guardare, commentare in diretta o anche via cellulare, arrivare a convidere film o telefilm. "Elizabethtown" è entrato nella mia vita per caso con commenti puntuali via cellulare una serata d'estate prima di una partenza, meno di una settimana più tardi avevo in mano il dvd, ancora questo Natale me ne è stata regalata una copia in italiano, appunto per poterlo condividere.
"The holyday" era in cartellone a Londra a fine dicembre 2006, erano giorni intensi e me lo sono lasciato scivolare via; la vita reale giustamente ha prevalso. Quel manifesto, l'ambientazione londinese, l'autrice, Nancy Meyers, i protagonisti, Jude Law e Kate Wislet, hanno fatto sì che mi fosse regalato in dvd ed è stato amore a prima vista. Non è un capolavoro s'intende, è una commedia romantica che dà voce alla speranza, anche se la speranza dura lo spazio di un film, due ore di una piacevole illusione consapevole. Non è un film alla Frank Capra perché non è chiaro (e non può esserlo) cosa avvenga dopo l'ultimo dell'anno trascorso tutti insieme, bimbe comprese, nella casa di lui nel Surrey. Ad ogni nuova visione mi fermo a pensare, di fatto sceneggio, tutte le possibili evoluzioni. Comunque, finale a parte, Iris e Amanda si sono concesse una possibilità e io e i miei astratti furori non possiamo non lasciarcene affascinare. E' evidente anche che un Graham che bussa alla porta di un cottage disperso nella neve della campagna londinese è pura fantascienza, fa parte dell'illusione consapevole, della fiaba. Ogni tanto mi merito una fiaba. "The holiday" è certamente una delle mie fiabe preferite.
martedì 21 luglio 2009
Il valigino celeste
sabato 18 luglio 2009
Martina, Giacomo (Leopardi) ed Eugenio (Montale)
Martina non ama particolarmente la poesia perché è convinta che non le appartenga, di non capirla. La poesia è per lei sinonimo di gran fatica e frustrazione. Poi le buttano lì di fronte Il pensiero dominante di un Giacomo Leopardi squassato dall'amore, innamorato perso - alla non tenerissima età di trentadue-trentaquattro anni - non tanto di qualcuno quanto dell'amore, pensiero dominante della sua vita in quel momento. Chiedono a Martina di scrivere la parafrasi e il commento alla poesia. E Martina si arrampica, insieme ai suoi amici, sui versi di una fra le composizioni più ostiche del grande Giacomo. Il senso di non appartenenza a quel linguaggio le rimane, è però stupita dal tema: non avrebbe mai pensato che Giacomo fosse così - ammette. Così come? Un uomo che si innamorava e che, per quanto "de' nostri mali esperto", per quanto abbia più volte pensato che "la vita della morte è più gentile", "per cor le gioie" dell'amore, "provar gli umani affanni, / e sostener molt'anni / questa vita mortal, fu non indegno". E questo non perché il suo amore venisse ricambiato, tutt'altro, perché sentirsi squassati dal pensiero dominante, "dolcissimo, possente / dominator di sua profonda mente" conferisce senso alla vita, anche quando ti scaraventa violentemente contro gli scogli. Poi il momento passa, il pensiero, quel pensiero non domina più la sua mente, subentra il disincanto, il rintocco funebre di un momento, di una stagione della vita. "Perì l'inganno estremo, / ch'eterno io mi credi", scrive Giacomo in "A se stesso".
Martina deve scegliere una poesia per analizzarla e commentarla, sceglie Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale di Eugenio Montale. Il poeta, l'uomo ha già sessantasette anni, Mosca, la sua compagna di vita, è morta e lui ne sente la mancanza, avverte il vuoto intorno ad ogni scalino che è costretto a scendere da solo, non più a braccetto con lei. Eugenio è monco, una parte della sua vita non c'è più, la parte migliore, quella tra i due con "le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate", quella che era sempre riuscita a ricondurlo indietro quando qualche pensiero dominante aveva preso il sopravvento, quella che c'era sempre, che lo sosteneva ad ogni scalino, quella che ora non c'è. Più.
I poeti sono uomini, Martina. Sono esseri umani che ridono, amano, soffrono, si fanno ingannare, hanno ingannato, uomini che trasformano le cicatrici di una vita in parole. Non sono diversi da te, da noi. Per questo li leggiamo. Per questo Giacomo ti ha colpito, per questo hai scelto Eugenio.
Martina deve scegliere una poesia per analizzarla e commentarla, sceglie Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale di Eugenio Montale. Il poeta, l'uomo ha già sessantasette anni, Mosca, la sua compagna di vita, è morta e lui ne sente la mancanza, avverte il vuoto intorno ad ogni scalino che è costretto a scendere da solo, non più a braccetto con lei. Eugenio è monco, una parte della sua vita non c'è più, la parte migliore, quella tra i due con "le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate", quella che era sempre riuscita a ricondurlo indietro quando qualche pensiero dominante aveva preso il sopravvento, quella che c'era sempre, che lo sosteneva ad ogni scalino, quella che ora non c'è. Più.
I poeti sono uomini, Martina. Sono esseri umani che ridono, amano, soffrono, si fanno ingannare, hanno ingannato, uomini che trasformano le cicatrici di una vita in parole. Non sono diversi da te, da noi. Per questo li leggiamo. Per questo Giacomo ti ha colpito, per questo hai scelto Eugenio.
mercoledì 15 luglio 2009
The West Wing: uh, yeah
Una della ragioni per le quali seguo (sarebbe più esatto dire "rincorro tramite VCR il sabato e la domenica all'alba, ore 5.30-6.30") "The West Wing" è certamente perché è l'unico telefilm in cui si può trovare uno scambio simile:
Toby: "La First Lady deve presenziare ad una gara automobilistica. Devi prepararla".
Annabeth: "Uh, yeah".
Toby: "Non sto scherzando".
Annabeth: "Un, yeah: sintagma fonetico olofrastico che esprime entusiasmo scaturito dalle viscere".
sabato 11 luglio 2009
Il signor Branagh
Il signor Branagh, artista incomparabile in qualità di attore, sceneggiatore, regista, lasciò la Royal Shakespeare company esattamente un anno prima che prendessi i biglietti per "La bisbetica domata" al Barbican. Per caso poco prima mi avevano portato nel cinema "Prince Charles" a vedere "Peter's Friends", un film interpretato e diretto dal signor Branagh nel 1992, che sarebbe stato distribuito in Italia con pessima traduzione solo due anni dopo, sulla scia di "Much ado about nothing". Da "Peter's Friends" in poi ho sempre rincorso l'opera del signor Branagh con fatica, con estrema fatica, perché in Italia le sue creazioni giungono poco e sono distruibuite peggio o non distribuite affatto: ancora devo vedere "As you like it" e "Il flauto magico". Nell'agosto scorso mi appare per caso sul manifesto di un teatro, il Wyndham's Theatre nel West End a London, il volto del signor Branagh e scopro che di lì a quindici giorni avrebbe esordito nell'Ivanov di Chekhov, che deve aver interpretato davvero male per aver vinto il Critics' Circle Theatre Awards Whatsonstage.com Theatregoers' Choice Awards come Best Actor. Io sono travolta dalla grammatica e, quindi, rimango sepolta a Pistoia. Da maggio in poi il signor Branagh dirige sempre a Londra Jude Law nell"Amleto", ma io posso permettermi non più di una settimana e scelgo la fine di agosto perché i prezzi sono più bassi, perché la vita è prosa perlopiù. L'"Amleto" teatrale del signor Branagh è comunque sold out da tempo eccetto qualche data a luglio. Il 10 luglio il signor Branagh riceve un meritatissimo premio alla carriera (a soli 48 anni) al Roma Film Festival, perché per lo meno nei circuiti internazionali e dalla critica viene osannato come merita. Inutile aggiungere che io non c'ero. Roma costa, soprattutto in alta stagione, non ero certa che la cerimonia di premiazione sarebbe stata aperta la pubblico e il Festival sarebbe durato sei giorni. Insomma, normale prosaica amministrazione. Spero soltanto che, oltre alla recente fiction "Wallander", finalmente qualche altra opera del signor Branagh venga distribuita nelle sale o sulle tv italiane. In verità ne dubito, quindi è il caso che mi attivi per essere al momento giusto nel posto giusto perché, nel mare di bassa prosa quotidiana, un signor Branagh di passaggio per un giorno può fare la differenza. Per quel giorno. E' giusto rendere merito ai pochi che riescono a creare la poesia. O il teatro. Vero.
http://www.romafictionfest.it/Foto-2009/Eventi-Speciali-2009/Kenneth-Branagh
giovedì 9 luglio 2009
Alta pressione
I rappresentanti delle maggiori economie mondiali o delle economie più disastrate sono tutti a L'Aquila per tre giorni: discutono, firmano o non firmano accordi per la verità già preparati (almeno lo spero), visitano macerie, si offrono di adottare un momumento, una scuola per l'infanzia, un'istituzione, attirano telecamere che rovesciano sul mondo distratto la tragedia del 6 aprile. Gli accordi non risolveranno nessuno dei gravi problemi mondiali dal post-terremoto, al clima, alla crisi economica, alla fame, ma qualcosa faranno. Qualcosa faranno anche se tradurranno in investimenti e donazioni solo lo 0,022 % di quanto promesso, come forse sembra essere accaduto con i vertici precedenti. Si poteva spendere meno, si potevano compiere scelte diverse, i leader in questione non sono di nostro gradimento nella loro totalità o in parte, però sono lì: guardano le macerie, prendono qualche impegno, per quanto possa essere giudicato debole, leggono il "Yes, we camp" sul monte vicino e riflettono. Non andare lì, non vedersi, non collaborare, non prendere accordi nemmeno in videoconferenza mediante i singoli sherpa sarebbe stato meglio? Le guerre fredde e calde, l'assenza di donazioni e di tiepidi investimenti verso chi è meno fortunato, è stato o viene sfruttato mi sembrano alternative peggiori. Certo che si può fare di più e meglio - questo sempre e comunque, anche nel frangente attuale -; certo che le istituzioni sede di studi di settore seri, accreditati, le ONG possono e devono mantenere alta la pressione perché si ottenga il massimo da tali incontri, riconoscendo però che il poco è sempre meglio del niente, che fino a qualche decennio fa simili accordi, simili dichiarazioni congiunte non sarebbero state immaginabili. Si esercitino pressioni d'intenti, ma non si urli senza contenuti, non si tuoni tanto per farsi sentire, non si getti vernice nei negozi (quella vernice non inquina forse?), non si distrugga quel poco che non è in pezzi. Vernice, macerie e vetri rotti servono ancora meno dei tiepidi accordi.
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