lunedì 1 novembre 2010

Falstaff e dintorni


Se anche il "Ny Times" ne scrive entusiasticamente in occasione della strasferta newyorchese, vuol dire che non sono matta ad essere uscita dal Globe rapita dal The merry wives of Windsor. Sarei capace di rivederlo anche dieci volte di seguito. In età della pensione, intenderei offrirmi volontaria come stewart in quel luogo sacro, sempre che mi reggano le ginocchia, visto che dovrei stare in piedi per l'intera rappresentazione. Tutto sommato, però, cadere e salutare nell'arena del Globe potrebbe essere un'eccellente dipartita.
La sceneggiatura è formidabile e gli attori di questa versione da Sarah Woodward fino all'ultimo dei piccoli riescono a inforndere al testo una forza esplosiva, magnetica che non ti lascia nemmeno a rapprensentazione terminata. E tu rimani lì con il teatro che si svuota a far fotografie (visto che finalmente puoi), a cercare di carpire e conservare una magia che, in quanto teatro, sarà viva solo nei ricordi.
Al contrario, ho trovato definiva conferma che Lavia non sia il mio regista. E' un attore e un interprete straordinario che permea della sua originalissima personalità tutte le sue produzioni di indubbio spessore, eppure non è il mio regista. Dopo il suo Macbeth, dopo il suo Malato immaginario, devo arrendermi all'evidenza. Rimane che in intervista-conferenza potrei ascoltarlo per ore, affascinata, stupita, rapita da ogni espressione, giro d'occhi, pausa o battuta, così presuntuosamente affascinante, giustamente arrogante.

2 commenti:

Gaia ha detto...

prima o poi al Globe dovrò andarci anch'io, eh

steficab ha detto...

Dobbiamo andarci insieme. Posti scelti s'intende.