Mai esposta e, con orgoglio, la bandiera in occasione dei mondiali di calcio, proprio perché mi irrita l'istinto patriottico solo per il pallone; ascolto volentieri e con robusta soddisfazione l'inno per le olimpiadi, soprattutto in quanto olimpiadi addicted, stavolta però ho già la bandiera che sventola dalla ringhiera del terrazzo. E con orgoglio.
Non vedrò il duecentesimo anniversario, quindi intendo godermi il centocinquantesimo. E vorrei assistere ad un'esplosione di tricolore nei prossimi giorni, perché per quest'idea dell'Italia unità tante, troppe persone sono morte, perché Garibaldi, in fondo, è uno che ha saputo prendersi la vita e spremerla fino in fondo, perché ho sempre nutrito una simpatia sviscerata per la real politik di Cavour, perché qui ci sono nata, perché il mio è un grande Paese dal passato unico e impareggiabile, con la più conturbante letteratura al mondo, con capolavori artistici irraggiungibili, dalle splendide città con inefficienti servizi pubblici.
Non ho cambiato idea, aspiro con la stessa determinazione di ieri all'emigrazione. L'Italia non è esattamente il mio Paese, non è né il migliore né il peggiore dei Paesi, ma è il luogo in cui sono nata, vivo e vivono la maggior parte delle persone che mi stanno a cuore, quindi non posso non voler bene a quest'Italia, per quanto spesso mi susciti insieme rabbia, tenerezza e anche un po' pena.
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