lunedì 9 novembre 2009

9 novembre




Nel tardo pomeriggio del 9 novembre 1989 ero sull'autobus, fermo in fila in via della Costituzione, mentre la radio, prontamente o casualmente accesa dal conducente, mandava in onda un'edizione straordinaria su una conferenza stampa a Berlino e su assembramenti di persone intorno ai valichi del famoso muro. Lì per lì non ho capito, non ho colto. Pensavo a qualche rivolta destinata ad una rapida e sanguinosa repressione. Fequentavo sempre le superiori e avevo ancora ben stampato nella mente l'immagine dello studente in piazza Tienanmen in piedi da solo, di fronte al carro armato. Era successo solo cinque mesi prima. Certo, sapevo di Gorbaciov, della Glasnost, della perestroika, ma ero piccola e incline a prendere in considerazione sempre l'ipotesi peggiore. Invece, vista l'apertura del confine con l'Ungheria e il successivo esodo di tedeschi dalla DDR già da settembre, il muro era praticamente inutile. Tanto valeva permettere il transito - avevano deciso le autorità della DDR-; tanto valeva salirci sopra, attraversarlo, scalfirlo, schernirlo, esorcizzarlo, abbatterlo - hanno deciso i berlinesi.
In cinquanta-sessant'anni Berlino è stata distrutta due volte e ora è una delle città più coinvolgenti e affascinanti che abbia mai visto, dove - ovunque ti giri - c'è sempre una coppia che si scambia un bacio. Puoi camminare nella storia e vivere il presente a Potsdamer Platz, dove nel 1924 fu installato il primo semaforo, durante la guerra i bombardamenti lasciarono solo macerie, nel dopoguerra venne casualmente a passare il punto di congiunzione tra settore inglese, americano e sovietico, dove da una piattaforma panoramica i turisti da ovest sbirciavano la povertà dell'Est e dove ora puoi gustarti un mokafrappuccino sotto la cupola del Sony Center, firmata Renzo Piano.
La storia è anche questo. La rivincita dell'intelligenza e della libertà sull'oppressione e sull'idiozia. Peccato ci siano voluti così tanti anni e così tanti morti.

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