sabato 31 dicembre 2011

La luce negli occhi e l'apple crumble col tè


Sempre negli occhi e nelle papille gustative la pretenziosità vuota della latrice del finto cheesecake, ieri ho deciso di provare il piccolo laboratorio artigianale di pasticceria La dolce peonia. Dalle foto e dai commenti via socialcoso pareva un luogo interessante, vivo, originale, poco pistoiese; mi aspettava un tè di quasi fine anno intorno all'albero nella casina delle fate e ho deciso di provare. Un negozio piccino piccino ma curato e amato con un volto gentile e sorridente, che mi ha suggerito i biscotti perfetti da abbinare al tè. In mostra, tra tante squisitezze, qualcosa che somigliava al mio apple crumble, perché era un crumble con il burro, la crust sbriciolata croccante e la cannella. Come da questi e da altri ingredienti venga fuori quella meraviglia del crumble de "La dolce peonia" non so, mi limito a mangiarlo e a condividerlo. Nella mia mente gli ingredienti si mescolano quasi per magia, più o meno come Mrs Weasley che armeggia in cucina con la bacchetta.
Nei negozi dove ti servono con il sorriso e con la luce negli occhi si torna volentieri. E se ne scrive altrettanto volentieri.

venerdì 30 dicembre 2011

Cheesecake e paresi facciali tristi


Nella foto uno dei cheesecake più squisiti che abbia mai assaggiato. In quel ristorante, quando il cameriere ha chiesto, con una cortesia unica e con il sorriso, se tutto era a posto e con altrettanta serenità abbiamo ricordato che dovevano ancora arrivare le patatine fritte, il contorno dimenticato è giunto appena qualche minuto più tardi insieme alle scuse del direttore di sala che ci avvertiva di uno sconto per il disagio patito. Ecco, non sempre si è altrettanto fortunati. E non è una questione di di ristorante più o meno prestigioso, è una questione di educazione.
Se, tra i dolci nel menù, mi elenchi il cheesecake, io lo scelgo (errando). Se mi porti un dolce al formaggio con lo zucchero a velo sopra e un interno molliccio molto più simile alla torta mimosa che al cheesecake, che non ha il sapore né del limone mescolato alla panna e al formaggio, né della fragola, una superficie con qualcosa di marroncino non ben identificabile, non lo mangio e lo offro ai miei commensali, precisando che non è un cheesecake, come appare evidente dall'immagine.

Se poi proprio mi chiedi perché non ho mangiato il dolce, con lieve imbarazzo ma ferma convinzione ti rispondo: "Perché non è un cheesecake". A questo punto la "signora" ribadisce con maggiore ruvidità di quanto non avesse già dato prova durante le ordinazioni: "E' un cheesecake".
Mi sale l'irritazione e con tono pacato ma ancor più fermo ribatto: "No, non lo è. Non ha la consistenza del cheesecake".
E costei continua: "E' un cheesecake. C'è la ricetta su internet".
Trovandomi in una situazione non mia aggiungo: "Non dubito che abbia trovato questa ricetta sotto il nome di cheesecake, ma le assicuro questo non lo è".
"Non sarà il cheesecake di New York...", aggiunge senza concludere.
E qui mi impongo il rispetto per le persone che sono con me e ho pietà del caso umano che ho di fronte, a cui ho già permesso oltremodo di dare spettacolo di se stessa.
E non è questione di luogo: sebbene da queste parti non si brilli in percentuale quanto a cortesia, ci sono locali e negozi con ottime persone.
Non ho mai compreso la filosofia della paresi facciale triste sul lavoro, che funziona solo in questo Paese, peraltro. Altrove si verrebbe licenziati. Se anche per mestiere allo zoo togli la cacca nel reparto degli elefanti, sei tenuto a rispettare dal primo all'ultimo elefante, dalla prima all'ultima persona. Sei gentile per contratto, anche se non è sempre facile, anche se sei stanco e ferocemente preoccupato per altri sacrosanti motivi. Anche perché con la paresi facciale triste e la scortesia le ore di lavoro appariranno parecchio più lunghe e pesanti. Almeno la vedo così e ho intenzione di consolarmi presto con un vero cheesecake.

domenica 25 dicembre 2011

HP

Il perfido antagonista di James Stewart in "It's a Wonderful Life", Henry Potter, aleggiava nella mente della Rowling quando ha concepito "Harry Potter"? Spero di no. Anzi, l'idea mi disturba. Nome e cognome sono piuttosto comuni. Il Doug Ross di "E.R." è figlio certo del Doug Ross alleniano dottore fissato con le pecore in "About Sex* (*But Were Afraid to Ask)". La barca di Cary Grant "True Love" è la stessa di Pacey Witter, senza dubbio. Ma Henry Potter/Harry Potter è casuale o è una citazione voluta? Propendo (e spero) per il casuale.

sabato 24 dicembre 2011

Buon Natale


E' freddo, piove a dirotto, tira persino vento, minaccia neve eppure va bene lo stesso. A Natale va bene lo stesso, anzi va bene così: impossibile da tollerare un Natale con il sole e il caldo estivo. Fa parte del Natale il piacere di entrare in un negozio e assaporarne il caldo buono, tornare a casa, accendere l'albero, il presepe e le infinite luci e avvolgersi nella coperta dell'Open theatre o nel plaid rosso con i cuori. A Natale si cammina tanto, a volte senza una meta, si entra in un negozio anche solo per vedere quello che c'è, per farsi venire un'idea o scartare un'idea bastonati dal prezzo; oppure si corre verso una meta precisa, facendosi largo tra la folla che si attarda, indecisa e inetta come quasi sempre. C'è la libreria nuova, una vera libreria, dove pare d'essere in un altra città. E se ne esce contenti e sempre con un pacchetto. Poi ci sono i cioccolatini da distribuire, i pacchetti raffazzonati e sbilenchi, i primi regali da scambiare, le ultime idee da conquistare e tanti auguri da regalare a quasi tutti. Si compra, si compra e si compra ancora, ma soprattutto si cerca l'oggetto perfetto, il pensiero ideale che mutui l'affetto, che parli per te.
Dispiace solo che il Natale venga all'inizio delle vacanze di Natale e che in un giorno solo si porti via la festa più bella dell'anno, così d'un botto e ci lasci solo un poco credibile "buon anno" e un misero "buone feste". Comunque, siamo sempre alla vigilia e sarà Natale ancora per venticinque ore e intendo vivermelo fino all'ultimo minuto.

venerdì 9 dicembre 2011

Sprazzi


Lontano dall'ideale, lontano dalla perfezione e con un presepe con le lucine saltate per metà, si esige il miracolo di Natale.
Nella bolla bolognese e per un giorno il prodigio funziona tra luci e alberi, coniglietti paffutelli, buste e bustine, palloncini adesivi, chiacchiere, hamburger e progetti lontani, siderali.
Il primo vero film di Natale e i primi pacchetti sotto l'albero fanno sempre bene.
La richiesta rimane.

martedì 22 novembre 2011

Luoghi e non luoghi


A Porcari, in provincia di Lucca, la Fondazione Lazzareschi ha organizzato nel suo palazzo di vetro una mostra di opere di Andy Warhol, ben ottanta. Lodevole iniziativa, me ne compiaccio. Eppure l'idea di prendere e andare a Porcari mi mette tristezza. E' senza dubbio un mio limite, forse anche un mio pregiudizio, quindi ho cercato in rete il sito del Comune. Alla voce "eventi" vi si legge "al momento non esistono eventi disponibili". Nessun evento, nemmeno l'ultima delle sagre - pare. Ciò nonostante in mezzo alla campagna toscana, che - chiariamolo - non è il Chianti e non è la campagna senese, ci sono dei coraggiosi che hanno organizzato una mostra di richiamo internazionale. E vanno premiati. Vanno premiati prendendo il treno e chirurgicamente atterrando di fronte al palazzo o chiudendosi in auto per riemengere nel parcheggio più vicino.
Di sicuro mio il limite, mio il problema e la mostra in sé rimane la stessa, ma quanto fa bene all'umore camminare per le vie di Firenze prima di arrivare alle esposizioni di palazzo Strozzi? E poi uscirne e intravedere in lontananza la cupola del Brunelleschi?
Le cattedrali nel deserto mi mutuano tristezza, compatisco le tre case in mezzo al nulla che niente mi hanno fatto di male (ma neppure di bene, all'anima); i non luoghi che ti sfrecciano oltre il finestrino mentre stai andando in un luogo vero, che sia piccino piccino come Volterra o grande grande come Londra. Sempre mi chiedo come si possa viver lì, in the middle of nowhere. Spesso basta esserci nato e lavorarci. Un po' come nel mio caso. Ma certo l'umore cambia di parecchio nei luoghi veri.

domenica 20 novembre 2011

giovedì 17 novembre 2011

Domani

Preparo la valigina colorata con A single man di sottofondo; contenta. Guarderò poi Colin; non è un film per il mio umore di stasera, alla vigilia di una festa per cui non voglio feste e che pensavo mi avrebbe trovata più accigliata. Invece è arrivato il freddo buono, quello che piace anche a me, quello che fa stringere nelle sciarpe, fa mettere i cappelli e trovare la casa calda, perfetta per le uniche ciabattine infradito che abbia mai realmente posseduto.
Domani pioveranno auguri e sorrisi e saranno veri per la quasi totalità.
Sentirsi amati, voluti, abbracciati fa accettare bene anche i traguardi più ispidi. Lo scoglio peggiore è l'alzata prima dell'alba. Superata la fatica e lo shock, sarà tutto in discesa, perché non tutti hanno la fortuna di svolgere uno dei cinque lavori che vorrebbero svolgere e di poterlo condividere con quella manciata di persone e di sorrisi che vorresti tenerti stretta comunque: da colei che conosci da una vita, a coloro che la sorte ha scaraventato lì con te. Poi ci sono le piccole grandi persone e la più grande sofferenza è pensare di doverne salutare metà tra appena sei mesi. Hai anche trovato il modo di regalarti il XII del primo Harry Potter, perché le ossessioni buone meritano tutte le coccole possibili. Dopo ancora, il pranzo dei giorni di festa (anche perché mi sono persa da tempo quello dei giorni feriali), il bacino con lo schiocco della mamma e quello timido del babbo, che par chiedere il permesso. E via, via di corsa, via da qui dove il senso di estraneità geografica è sempre più pressante, quando le possibilità di fuga permanente rasentano lo zero. Nella città già più a mia misura, attendo e pretendo un abbraccio forte forte, un bacino sui capelli con i ricciolini e una stellina nella camerina nuova. Da Paolo Poli alla Cantina, al polpettone, l'importante sarà condividere e ridere. Voler bene e farsi voler bene.

domenica 6 novembre 2011

E in effetti

Perché poi ti viene sempre il dubbio di esagerare, di avere la sindrome da emulazione leopardiana del natio borgo selvaggio, di ricordarti male, quindi concedi ulteriori possibilità (essenzialmente per prendere il biglietto per "Colazione da Tiffany" già prenotato per telefono). Parcheggi a fatica, cammini prima nel buio, poi nella luce triste dei lampioni gialli; i fanali delle auto confortano, le serrande abbassate di tutti i negozi, bar compresi, rafforzano il convinto scuotimento di testa. Qualcuno c'è: è al telefono, altri guadaganano casa con il cartone della pizza, alcuni ragazzi sono seduti sul primo scalino del cinema.
Ti viene il dubbio di aver esagerato in passato e in effetti la memoria ti ha ingannato: la realtà, a soli duecento metri dal gioiellino della piazza, è ben più desolante dei ricordi già non esaltanti.
Speriamo nel Natale. Non rimane altro.
Via, via, rientrare alla svelta e tirare su il ponte levatoio. Nella testa la battuta di Joey Tribbiani: "Inside good, outside bad". E dire che Joey aveva New York outside.

lunedì 31 ottobre 2011

Speriamo


C'è poco da fare, ancora non ci viene bene. Ci siamo evoluti dal tempo della striscia in cui Linus scriveva la sua lettera al "grande cocomero", mentre si trovava chiaramente in un campo di zucche; ci siamo evoluti ma non più di tanto: ora, al posto delle zucche, illuminiamo le feste per i bambini con i lumini per i morti con l'immagine di S. Pio.
Almeno qui nei dintorni.
Speriamo nelle prossime generazioni.

sabato 8 ottobre 2011

Correlativi oggettivi


Dal 28 agosto fino a ieri, 7 ottobre, ogni giorno ho celebrato l'ultima giornata d'estate di questa never ending summer, che solo a tratti mi é dispiaciuta. Ho avvertito l'eccesso solo in due occasioni: la prima volta quando mi sono ritrovata all'aeroporto di Pisa con stivali, felpa, giacca lunga di pelle e 37° C; la seconda quando l'effetto serra delle finestre con sole battente unito all'effetto bue e asinello ha reso intollerabili le aule del secondo piano. Ma l'ho apprezzata lo stesso.
Ho scelto con particolare cura gli abiti, perché sarebbe forse stato quello l'ultimo giorno della stagione in cui poterli mettere; con altrettanto consapevole autocompiacimento ho indossato i completini estivi per giocare a tennis. Ho sempre trovato l'energia per alzarmi anche presto, uscire, andare a Firenze per visitare mostre, sedermi sulla coda del drago nel giardino dell'Orticoltura e mangiare, come omggio alla mia città, un gelato "chocolate fudge brownie" di Ben and Jerry (che laggiù avrei disdegnato); per camminare e fotografare Firenze e i suoi ponti. Ho indossato in casa e fuori casa le ciabattine leggere a quadrettini rossi, le uniche infradito che sia mai riuscita a portare.
Fino ad oggi.
Da ieri mi sto arrendendo alla necessità dell'autunno. Ma sbuffo.
Tanto il mio autunno l'ho già avuto ed era perfetto, perché in casa era caldo ed è per questo che avevo comprato le ciabattine a quadrettini rossi, perché i cieli erano meravigliosi e seduti al sole sulla chaise longue a righe bianche e verdi si aveva la sensazione di vivere il momento perfetto.
Lo ammetto: mi piacciono le stagioni, non vorrei abitare in uno di quei posti dove per tutto l'anno c'è sempre un sole stampato e la stessa temperatura. Voglio i nuvoloni neri e gonfi, i cieli multicolori, le sciarpe e, se vivessi in una città civile munita di sale e spalaneve, vorrei persino, una volta l'anno, anche la neve. Quindi, in definitiva, non chiedevo tanto, solo un'estate che durasse fino al 31 di ottobre, che dal 1° di novembre mi accendono il riscaldamento centralizzato.
E invece no, nemmeno l'effetto serra ha potuto tanto. E in queste case, infuocate o fredde, per coccolarmi fino all'ultimo il correlativo oggettivo della never ending summer - le ciabattine a quadrettini rossi - mi son già buscata il raffreddore.

giovedì 6 ottobre 2011

L'uom fatale


"Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà."

Non Napoleone, naturalmente.
Steve Jobs è quel mondo, quella passione, quella voglia di vivere, di programmare, di inventare, di superare se stessi, di amare e di ispirare che è la parte migliore dell'umanità; quell'angolo di civiltà e di genialità che si reinventa sempre, che non si lagna ma agisce. Il divino che c'è nell'uomo, l'idea rivoluzionaria che cambia un'epoca ma anche il pezzo di carne che soggiace alla legge della fisica che trasforma la materia.
Pur non avendo mai comprato niente di originale Apple, vivo delle idee di quest'uomo io come gli altri, come quasi tutti, anche quelli che si dicono incantati solo dai paesaggi campestri e dal rumore del mare e non fanno caso alla poesia del portatile smilzo, liscio e colorato, al concerto dei tasti di plastica, alla magia della comunicazione immediata, all'ormai ordinario prodigio del pensiero che si fa battuta scritta, post.
Il genio è morto, le sue idee restano. Ma l'uomo Steve Jobs è vinto e cancellato. E la vita davvero mi appare sempre più come una meravigliosa merda che - per dirla alla Allen - "oltretutto dura troppo poco". Quando ti pare di aver capito, quando hai trovato un equilibrio accettabile, quando sei persino felice, e a volte anche prima, è il momento di salutare.

domenica 18 settembre 2011

La luce bianca


Uccisa l'afa, uccisa l'estate, torna la luce bianca, trasparente, quella che non offende gli occhi, che fa spalancare di nuovo le finestre, che non obbliga a percorsi di guerra per fugare il sole infuocato.
Anche quando apprezzo il caldo, mi manca la luce naturale in casa e mi è sempre mancata la finestra di fronte al lavello, che poi per me è l'acquaio. La finestra dietro all'acquaio c'è sempre stata in ogni telefilm che ho amato, da "Eight is Enough" a "Friends" e qui in Italia non ne ho mai vista una. Probabilmente perché ai fumi della cucina qui non è astuto sommare il caldo della luce naturale. Eppure, mentre prosaicamente si preparano i piatti per la lavastoviglie, si dovrebbe poter guardare il cielo o scoprirsi osservati dal sorriso di chi ti vuol bene nel cortiletto a tasca, proprio lì di fronte.
Mi piacciono le finestre grandi, con la struttura bianca che moltiplica la luce; non amo le persiane rigide o le tapparelle pesanti, che fai fatica a chiudere e che la notte non lasciano trapelare la luce.
Mi mancano i lucernai, dove si sente piovere e ascoltare la pioggia è quasi sempre un piacere. Mi piace spengere la luce la notte e trovare la luce del lampione che filtra potente da fuori. Se proprio devo svegliarmi presto, adoro osservare la luce che cresce, o alzarmi senza comunque dover accendere la luce o tirare su le tapparelle.
Dovendo, per forza, privarmi di tutto questo, tornata la luce bianca, mi concentro sulle tende nuove della camera, naturalmente viola. Ma la mancanza totale rimane.

domenica 11 settembre 2011

NY


Una città, un mondo che amo. Come si possa anche solo pensare di offendere, ferire, trafiggere quelle persone, quelle strade, quel mondo rimane un mistero rabbioso.

lunedì 29 agosto 2011


"Le vacanze estive inferiori ai venti giorni dovrebbero essere dichiarate fuori legge" - sostiene la Vale. E ha ragione.
Di solito al ritorno dalla mia misera settimana a casa ero distrutta. Non che stavolta non avverta il rebound, non che non mangi persino gli insipidi rich tea biscuits della Tesco con malinconica nostalgia, eppure me la cavo abbastanza bene. Sono stata così serena, felice, (anche troppo) soddisfatta (a giudicare dalle foto) per venti giorni che ancora ne avverto l'effetto positivo sull'umore. Guardo qui intorno l'umanità offesa e piegata dal caldo con un misto di pietà, di affetto e di distacco, come se non fossi anch'io nella cloaca dei 37 gradi ed oltre.
A tratti la sensazione di buono, il mood londinese è la stessa che si prova al risveglio dopo un bel sogno. Ma là sono stata, là mi sono svegliata per venti giorni, sotto il piumone, nella stanza illuminata anche di notte dal lampione che dava sul roof, là mi sono svegliata col sorriso, tirando su le tapparelle color legno, per verificare che Holland Park e la casa dei sogni di fronte, quella con la cucina con l'isola, fossero reali, fossero sempre accampati là di fronte. Là mi sono svegliata con Vivaldi, là ho fatto colazione con il latte alla panna e i digestive, decidendo i dettagli della giornata con uno sguardo al cielo a volte meravigliosamente imbronciato, a volte semplicemente grigio, a volte con le nuvole che corrono.
Sono stata così bene che ancora mi porto dentro quel bene. Continua a vincere la sensazione del buono che c'è stato, dell'orgoglio di esser stata scelta ed inclusa, di tutto quanto ho condiviso: dagli hamburgher di Giraffe, al teatro in mezzo al parco, alla volpe, al mio Globe, all'afternoon tea da Max, all'Harry da tube e agli abbracci veri, da vero telefilm, dell'ultima sera.

domenica 28 agosto 2011

Together we stand


Non è la mia città del cuore, ma è appena una tacca sotto. E penso alla mia New York spettrale in attesa dell'uragano. E mi fa male pensarla vuota, pensarla ferma, pensarla inerme. Seguo le ultime notizie, come se Irene dovesse passare a non più di un centinaio di km da qui. E' sempre stato così ancor prima di metterci piede. Camminare per le sue strade è stato come averlo sempre fatto. E' tutto pronto, tutti sono pronti e ce la faranno - spero - senza troppe ferite. I due cretini col kajak nell'Hudson li avrei lasciati al loro destino, che non si sarebbe perso nulla. Anzi.
Riguardo per l'ennesima volta le ultime puntate della decima serie di "Friends", rido, mi commuovo e continuo a non capire perché ci debba trasferire in campagna dal Greenwich Village. Anche con Irene l'uragano alle porte.

lunedì 1 agosto 2011

18


La valigia nera, quella alta, grande, che già a guardarla dà soddisfazione, quella che a New York scoppiava e di sicuro era oltre i 20 kg con Mummy la mummia e il gomitolo di protezione intorno, la valigia nera stavolta è persino concava eppure minaccia 18 kg. Ma è l'unico dettaglio (oltre all'anatema ufficiale ciclico, nel conto).
Si torna a casa.
Finalmente.

venerdì 29 luglio 2011

Presto


Il programma di ripristino del bioritmo comune (non naturale) procede a rilento. E' che questa città pare dormire anche quando è sveglia, all'una di giorno giù quasi tutti i bandoni e il tempo autunnale con quella sua luce perfetta, è ideale per leggere "Much Ado", girare per la casa, aprire cassetti e pensare: "Lo porto. No, non lo porto. Dovrei?", aumentare le pile precise (per una volta) di indumenti e oggetti sopra la bandiera dispiegata apposta sul letto. Manca poco e manca troppo. Se manca poco, va comunque bene. E' il tempo giusto per perdersi nelle cartine, nei progetti, nelle liste, nelle stampe e soprattutto non lasciarsi intristire da niente. Quasi tutto è meno importante. Chi è intorno lo sa, lo vede ed è indulgente.
In aprile sveglia alle 6.30, colazione alle 7 e via: per alzarsi presto (ed affrontare il freddo oltrettutto), ci devono essere ragioni di ferro, anzi d'acciaio. Ad aprile intorno c'era il tutto, il troppo pieno, casa. Nei giorni scorsi mi è persino venuto di mente di alzarmi presto (qualche volta e senza svegliare i compagni di vita e d'avventura) per andare a correre nel parco, per un minuto e mezzo - s'intende -, poi sedersi, fotografare, leggere, sorridere, assaporare compiaciuta il momento, il luogo, lo smog.
Quindi, ho aggiunto la tuta sulla bandiera.

domenica 24 luglio 2011

Bologna


Nella casa sospesa sopra la stazione dove mi si conosce meglio di me stessa e mi si apprezza per questo e nonostante questo, dove c'è il mio spazzolino, dove mi si apre se prometto di non portare generi di conforto, dove si condividono le stesse passioni, si apprezzano gli stessi amici, si indulge col sorriso alle mie ossessioni e alle mie mancanze, dove nascono e si condividono le idee migliori nonché abiti e scarpe col tacco, dove si lasciano disegni sul pavimento e una scatola con i coriandoli sul tavolo di cucina, dove si stendono liste, dove si progettano giorni felici.

martedì 19 luglio 2011

Volte


Finalmente un cielo per cui valga la pena alzare gli occhi: vario, corposo, mimaccioso, intrigante, complicato, sinuoso, turneriano e anche un po' voltemortiano.

Contrattacco

Basta. I primi giorni il profumo di bombolone appena sfornato è stata una dolce sorpresa notturna. Dopo quindici giorni ero pronta a bussare al forno sotto casa, in pigiama, così ieri son passata al contrattacco. La sera mi son trovata di fronte una buona pasticceria quasi per caso, ho cercato quella che si ostinano a chiamarmi ciambella e me la son comprata. Ho mangiato di gusto metà bombolone subito e metà con un sorriso beffardo di somma soddisfazione al sopraggiungere dell'infingardo profumo.
Il problema è che stanotte sarò di nuovo punto e a capo.

lunedì 18 luglio 2011

Una


Ultimamente (sempre) sono una si commuove facilmente e - ho l'impressione - che talvolta si autocompiace della propria commozione. Non è un pregio oltre un certo limite. Nel personaggio non precario del passato la lacrima facile cominciò ad infastidirmi, probabilmente anche perché associata alla passività o alla resistenza passiva, che - credo, penso, spero - non mi appartiene.
Sarà che ho dovuto salutare le piccole grandi persone con cui ho condiviso tre anni: piangevano loro, figuriamoci io; ho visto poi un piccolo grande eroe stringere i denti, affrontare le tragedie vere, quelle non virtuali, quelle che fanno male davvero e possono uccidere e superare un anno e un esame a pieni voti. Ma mi commuovo anche per meno. M'hanno proiettato l'ultimo Harry Potter e giù a piangere da metà film. Non per il non capolavoro cinematografico, s'intende; per la storia, per una parte di vita che si chiude. Poi ci sarebbero i libri (l'ultimo capitolo de Il signore degli anelli), i film e i telefilm a pianto sicuro (The notebook, l'ultima puntata della terza serie di Gilmore Girls, l'ultima puntata di Dawson Creek). E poi c'è una sera in cui vai a Quarrata ad ascoltare un saggio di fine anno di piccoli musicisti e dopo un "YMCA" e una marcia trionfale dell'Aida (in questo esatto ordine), tutti i musici e i coristi si riuniscono sul palco, entra uno dei ragazzi più grandi con bandiera tricolore apprezzabilmente ampia, sale su un cubo e inizia ad agitare il vessillo; i fiati attaccanno l'inno di Mameli e tutta la platea in maniera spontanea si alza e si unisce, (alcuni) con la mano sul cuore. Io, naturalmente, canto e lacrimo. Mi fa un po' rabbia quest'amor di patria riscoperto solo ora, per caso, per una volta senza i mondiali di calcio a tiro di pallone, eppure cedo comunque ad una lacrima. Una, eh.
In ogni caso sono sempre lacrime di commozione. Per tutto il resto del tempo l'imperativo morale è ridere di gusto il più possibile, benché non sempre mi riesca.

giovedì 14 luglio 2011

Harry Potter: l'afa lo uccide


Ecco, quella nella foto sarebbe stata la situazione ideale stasera per la prima dell'ultimo Harry Potter: ai 18 gradi torinesi delle 21, sulle meravigliose poltrone/lettini della Mole Antonelliana. Non è esattamente andata così. Anzi non è andata proprio.
E ne son contenta.
Potevo forse aspettare domani? Non esiste. Le attese non fanno per me. E poi era l'ultima prima e ci volevo essere, visto che non ero (solo per causa di forza maggiore) tra i matti accampati sulle pietre di Trafalgar mercoledì e giovedì scorso. Comunque, all'ombra dei 32 gradi delle 20.45 sono partita da casa con un misto di allegria, agitazione, malinconia: già è stato durissimo congedarsi dai libri. Ho letto, apprezzato, sottolineato le pagine, le parole; ho commentato, ho messo gli asterischi, ho cerchiato in rosso le orrende traduzioni con i pronomi relativi a caso; ho sorriso, ho riso, ho trepidato, ho sofferto, ho pianto e alla fine, quando sono proprio arrivata in fondo all'ultimo capitolo e all'ultimo rigo (letti prima, come sempre), mi sono consolata al pensiero dei libri in originale e dei film.

Andare a a vedere l'ultimo film è un piacere, un'emozione e una sofferenza, un altro congedo necessario da Harry, che ormai quasi trentunenne conduce una vita tranquilla in qualche parte dell'Inghilterra.
E invece, c'è stato l'ennesimo colpo di scena.
"Un guasto grosso - spiega l'addetta ai biglietti -, la proiezione del pomeriggio è stata bruttissima. Salta la luce. E' troppo caldo. Il tecnico sta lavorando, ma non sappiamo come finirà." Funzionano solo le altre due sale: nella 2 c'è Trasformers, nella 3 Harry non in tre D, già iniziato. Dopo un quarto d'ora pare tutto risolto e la folla di potteriani doc - giovani, meno giovani, vecchi, bambini - sale ad ampie falcate le scale della sala 1 armata di gelato e acqua. La solita pubblicità, poi finalmente il logo uncinato della Warner B. e uno spontaneo applauso da parte di tutta la sala. Ecco Ron e, sì, c'è anche Harry e soprattutto c'è il fratello maggiore Weasley, Bill (un fantastico Domhnall Gleeson), che compare in un numero troppo davvero troppo ridotto di scene, ed ecco Snape/Piton sempre più Renato Zero dei noiartri.
Ron e Bill a parte, anche la storia e il film mi rapiscono: rido, apprezzo, scuoto la testa per le innovazioni, sono tentata di unirmi all'applauso della sala per il primo bacio di Ron ed Hermione, piango (sempre anche per la consapevolezza che comunque qualcosa di bello sta finendo), quando sul più bello, mentre Harry entra nella foresta proibita e io lacrimo oltremodo ridicola con gli occhiali da 3d sopra i miei, quando, appunto, scompare lo schermo, si spenge l'aria condizionata e si accendono le luci d'emergenza. Dal nulla un caldo soffocante, gente che si precipita fuori sala a comprare l'acqua, altri che chiedono. "Troppo caldo" è la risposta. Per un sovraccarico di energia, è saltata la luce - di nuovo - in tutto il cinema. I tecnici dell'Enel, avvertiti, non intendono scomodarsi prima di domani, pare. Attendo nell'afa sempre più opprimente. Offrono di firmare i biglietti da utilizzare per una nuova proiezione nei prossimi giorni. E io risorgo. Niente più congedo definitivo stasera. Per me l'ultimo Harry Potter ancora non è finito. E' sempre lì ai margini della foresta proibita. Almeno fino a domani sera.
A meno che l'afa non lo inchiodi ancora lì, di nuovo. Laddove Voldemort ha fallito, l'afa ha trionfato.

martedì 12 luglio 2011

Tra le tre e le quattro e mezzo

In queste notti tra le tre e le quattro e mezzo s'intrufola deciso dalla finestra di camera il profumo intenso di bomboloni caldi.
Prima o poi scendo anche in pigiama e ciabatte, mi affaccio dentro il laboratorio, cercando di non spaventare il panificatore/pasticciere, e pretendo, chiedo, imploro un bombolone appena sfornato.
Che poi - non capisco - non ricordo bomboloni tra le paste di quel panificio; forse anche in inverno se li mangiano tutti i vicini nottetempo o subito all'apertura, forse mi incanta il mero profumo delle paste appena sfornate che per me è comunque e sempre il bombolone fritto, gettato nello zucchero e mangiato ancora bollente a Badia, durante la festa. Il bombolone vero - sia chiaro - quello col buco senza ripieno, quello che sa di pasta burrosa e di zucchero, che sa di buono - qualsiasi cosa ci sia in quell'impasto. Oppure è la frittura a rendere un semplice impasto di farina, acqua e qualcos'altro, un profumo e un sapore inchiodati nel palato e nella memoria da sempre. Francamente lo ignoro. Per me il cibo nasce già pronto. Comunque, un po' di burro ci deve pur essere in quel profumo/sapore diabolico. C'è il burro in tutto ciò che più mi piace: nelle paste di Paul, in quelle dei paesini dispersi sulle Dolomiti, in quelle di Berlino, persino nelle "macine" del Mulino Bianco. Quindi, per deduzione anche nei bomboloni della mia memoria e in quelli ( per me virtuali) del mio vicino panettiere/pasticciere ci deve essere il burro.
Non m'intendo di cucina, m'intendo di film e di poco altro, quindi tendo a fidarmi di Julie Powell in Julie & Julia:

"Fatemelo dire: c'è niente di meglio del burro? Pensateci, quando assaggiate qualcosa di squisito e dite: "Ma cosa è?". La risposta è quasi sempre: "Il burro". Se un meteorite si dirigesse verso la terra e avessimo solo trenta giorni da vivere, li passerei mangiando burro. La mia ultima parola sull'argomento: il burro non è mai troppo."

E nemmeno i bomboloni, soprattutto il profumo, la fragranza del bombolone tra le tre e quattro e mezzo nel silenzio della notte di luglio (perché ad agosto il panettiere se ne va in vacanza).

domenica 10 luglio 2011

Cieli e tapparelle


Una volta l'anno, una settimana, due al massimo, mi godo il castello col prendisole giallo o con quello azzurro, latte, caffè, cereali, schiacciata e galletti, Jane Austen e dvd a iosa (Il discorso del re, il primo Harry Potter, Orgoglio e pregiudizio della BBC, ecc.), esco quando ne vale la pena e soprattutto dormo, di giorno. E dormo tanto. E sto bene.
Qualcuno si preoccupa perché dormo troppo: che devo dire? Son fatta di sonno. E poi mica me lo posso permettere sempre? D'inverno la sveglia suona sempre troppo presto, è freddo e piove poco, per i miei gusti.
Sono anglosassone dipendente (anche il Canada, la Germania e la Scandinavia e la costa orientale degli Stati Uniti non mi sono indifferenti), ma nasco in un involucro mediterraneo. Sto bene sopra i 23 gradi C, benissimo fino ai 30, me la cavo fino ai 35. Quando i comuni mortali stramazzano col fazzoletto in mano, li guardo compassionevole.
Una contraddizione solo apparente. Sotto cieli migliori sono capace di alzarmi alle sei e trenta con un sorriso da parte a parte. Se è fresco, mi copro; se piove, son contenta. Detesto il sole e i cieli italiani estivi monocolori, almeno quelli della piana senza nuvole, senza nulla. Fuggo il sole che mi trova comunque e sempre. Non piove mai e c'è questa luminosità diffusa e implacabile. E io dormo. A meno di impegni, selezionati. La sera spalanco tutto e riemergo e faccio ciò che voglio. Fino all'alba. Verso le quattro e mezzo il forno della strada accanto mi regala un portentoso profumo di bomboloni caldi. Tutto questo in attesa di cieli migliori, s'intende.
Dovendo attendere, meglio accontentarsi il più possibile.

domenica 3 luglio 2011

Un mese


Un mese è ben poca cosa ed è anche il tempo giusto per pensare, studiare, vagliare, sognare, architettare, pregustare luoghi, indirizzi, dettagli, bagagli, volti. Il resto lo decideremo lì per lì nel patio, nel soggiorno o nel parco. E "ci tornerà bene."

giovedì 30 giugno 2011

29 giugno


Un altro compleanno/anniversario della nascita del grande Giacomo è trascorso. Chissà perché tutti mi guardano in modo strano quando lo ricordo, i più indulgenti sorridono. C'è il 17 marzo e c'è il 29 giugno, il compleanno di un grande italiano, di una persona unica. E' per giunta sempre una buona data, in estate, alle porte dell'estate col caldo che assedia il giorno e rende perfetta la sera, da accogliere col vestito rosso.
Di Pistoia/Tristoia si cerca di apprezzare le cartoline più belle, gli scorci più affascinanti ma salta sempre fuori anche la sua malinconia decadente appena una strada più in là.
Infine, si torna a casa contenti per la serata e curiosi per la sorpresa annunciata. E' sempre bello quando chi ti conosce davvero ti scrive: "Controlla la posta, hai una sorpresa". Sarà di certo una bella sorpresa.
Era pronta al grande passo, lo sapevo già da qualche giorno, ma non mi aspettavo così dal nulla una sua mail con tanto di caratteri multicolor e di disegni a corredo. Non ci si può non commuovere per la prima mail.

mercoledì 29 giugno 2011

Borough Market SE1/Holland Park/

Iniziata la preparazione per agosto con il primo film: Bridget Jones, il secondo capitolo. Decisamente non un capolavoro, ma Hugh è sempre personcina considerevole e ha le battute migliori, Colin è meraviglioso quanto il suo personaggio, che invita con cortesia l'avversario a recarsi fuori dalla mostra d'arte prima di pestarlo. I Darcy fanno così dall'Ottocento.
Comunque, le location sono state più o meno individuate, soprattutto la casa torrione di lei, tanto fantastica con la luce a 360° quanto scomoda per le scale infinite.
Scoprire che Helen Fielding aveva originariamente collocato l'appartamento a Holland Park ha regalato nuova carica, se ce ne fosse stato bisogno.
Tutta la parte thailandese non è stata minimamente presa in considerazione, fascino del luogo meno di zero. L'unica scena apprezzabile è quella in cui Bridget insegna alle carcerate a cantare Like a virgin.

martedì 28 giugno 2011

Red sparks ("if anyone gets in trouble, send up red sparks")


So di essere da tempo prevenuta e allora mi sforzo e mi sforzo ancora, benché non sembri, di trovare interessante il natio borgo selvaggio, eppure niente da fare. Anche stasera nuova prova di grandiosa vitalità: è il 28 di giugno, guardo speranzosa la pagina del televideo della tv locale in cerca della programmazione di luglio e trovo la programmazione di agosto 2010; cerco su internet e trovo un generico avviso per il cinema sotto le stelle per il luglio 2011, naturalmente senza titoli.
Li decidono tra domani e domani l'altro?

Nemmeno mi indispettisco. Ci rido su ormai e scuoto la testa. E estate e tanto mi può bastare. Per ora.

domenica 26 giugno 2011

Bolle


Un anno fa, ieri, io e due prodi compagni di viaggio risalivamo la collina della campagna subito a sud-ovest di Londra, trascinandoci dietro quattro bagagli in tre, comprensivi di tenda scout da montare, sacchi a pelo (mai stata scout), galletti, un prosciutto e altri generi di conforto, plurimi cambi, da effettuare anche in luoghi non comodi, con diverse soluzioni a strati per passare da 10 a 30 gradi C, macchine fotografiche, "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban".
La tenda veniva montata con sufficiente ed orgogliosa agilità (eseguivo solo gli ordini, è chiaro), i sacchi a pelo srotolati sull'erba ma un'erba civilizzata, un manto compatto e fresco, quasi finto, apprezzabile persino da me. La giornata trascorreva nell'ozio, nella piacevolezza e nella soddisfazione più assoluta, in una bolla sospesa, irraggiungibile dalla realtà bigia; intorno altre migliaia di campeggiatori nullafacenti, sotto un sole per me implacabile eppur sostenuto con dignità. Abbiamo chiacchierato, letto, apprezzato i volontari e l'organizzazione britannicamente ineccepibile, commentato le ragazze che, in appena un'ora e mezza, hanno montato la loro tenda, piantando i picchetti con una spazzola; abbiamo commentato la precisione patologica della coppia di fronte a noi; seguito il tramonto, scrutato all'orizzonte il rosso delle luci della città; abbiamo dormito in tenda e all'aria aperta, con la testa appoggiata alla valigia; ci siamo svegliati alle 4 per l'alba di giugno e fotografato l'aurora. Abbiamo fatto la fila per il caffè e il panino col bacon; abbiamo smontato la tenda, depositato le valigie; abbiamo sorriso, sorseggiato tè caldo, fotografato moltissimo e guadagnato agognati wristbands. Il resto è stato il 3rd round a Wimbledon tra campo n. 1 (ex centrale), campi laterali, palline usate, fragole con la panna, fiori verdi e viola, tanti, tanti convinti sorrisi, ottimo tennis.
Un anno fa, ieri. Un ottimo consiglio, un'ottima scelta.
Insomma, si può dormire in tenda, sotto le stelle e camminare sull'erba fresca, sempre che il premio sia niente di meno che Wimbledon e che la compagnia sia all'altezza della situazione.

sabato 25 giugno 2011

Qualcuno


Finalmente assaporo l'estate, il caldo, i tempi distesi e, dovendo rinunciare all'escursione berlinese che avrei in mente, così mi preparo al premio tanto agognato:

A
About a Boy - Un ragazzo
L'altra donna del re

B
Beau Brummell
Beautiful People

C
Closer

D
Detective Conan: Il fantasma di Baker Street
Il diario di Bridget Jones
Il discorso del re
Dream Street

F
Four Play
Fumo di Londra

G
Giglio infranto


G cont.
Giù per il tubo
The Glorious Adventure
Gorgo

I
In viaggio con una rock star

L
Lassiter lo scassinatore

M
Una magnifica avventura
Match Point
Metroland
Miss Pettigrew

N
Notting Hill

R
RocknRolla

S
Sabotaggio
Sliding Doors
Sognando Beckham
Steamboy
StreetDance 3D
Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street

T
Il terzo segreto

U
Una strada, un amore

V
23 passi dal delitto
La vera storia di Jack lo squartatore

W
Wimbledon


E' uno sporco lavoro, ma lo svolgo volentieri.
Si ringrazia Wikipedia.

lunedì 20 giugno 2011

Rettifica

"La storia non è magistra
di niente che ci riguardi"

Montale ha ragione. Sempre e comunque.

domenica 19 giugno 2011

Comunque

"La storia non è magistra
di niente che ci riguardi"

sostiene Eugenio il grande (Montale). E' quasi sempre vero per la grande storia, troppi gli errori comuni a tutte le generazioni. E' che ogni volta l'uomo riparte da zero, in troppi ignorano ciò che è stato e, appunto non conoscendo ciò che è stato (perché la storia non si studia e soprattutto non si capisce), tornano a cadere nelle medesime macroscopiche buche.
Per le piccole storie, le storie piccine di ogni giorno, se si è fortunati ci si affida a chi ci vuol bene, a chi ci ha visto nascere o a chi ci ha scelto; altre volte si impara a proprie spese, si offre il fianco se ne vale la pena e talvolta anche se non ne vale affatto.
Le ferite sulla carne e sull'anima scartavetrate ben bene dopo un po' si cicatrizzano, ma, certo, non scompaiono. La storia, la propria storia deve essere magistra di vita, siamo animali dotati di memoria e di intelligenza. Se poi, come me, si ha l'abitudine e il bisogno di affidarsi a protesi emotive di carta o digitali, dimenticare e non imparare diventa difficile.
Imparare è utile, però non fa la differenza.
E' più proficuo tornare nell'enclave nord europea a un passo dalla città, sul prato verde verde, dove l'anno scorso si è ballato sereni e felici a piedi nudi nel caldo di luglio, e sorridere e stare bene. Comunque.

giovedì 2 giugno 2011

Due grandi


Un'accoppiata unica, storica, fantastica, imperdibile.
(Devo trovare questo film: me ne sono privata per troppo tempo)

martedì 31 maggio 2011

Urla e dintorni

Visto che tutti hanno il diritto di impazzire, allora ho provato a farlo anch'io. Ho urlato contro chi se lo meritava, ho urlato come una matta, volendo urlare e concentrando in quell'urlo la rabbia di giorni, di mesi, di anni, riversando sul malcapitato (meritevole del gesto, sia chiaro) un bisogno ancestrale di sfogo, dopo giorni, mesi, anni di eccessiva comprensione e toni pacati.
E ha funzionato, mi sono subito sentita molto meglio.
Ma non mi si parli di gesto inconsulto. I matti sanno benissimo ciò che fanno e ne godono assai mentre lo fanno. Io ero consapevole del mio urlo, l'ho visto arrivare, l'ho sentito, l'ho contemplato soddisfatta e l'ho visto riflesso nel volto allucinato del malcapitato.

martedì 24 maggio 2011

Scacco matto

I matti hanno in pugno il mondo e lo tengono in scacco (matto).
Sbraitano, si agitano, prendono decisioni irrazionali, hanno e soprattutto potrebbero avere scatti inconsulti, pericolosi e allora tutti giù a comprendere, a provare pena, a convincere, a convincersi, a farsi convincere di dover provar pena, di dover soprassedere, di aver pazienza. Quando, a contrario, sono i matti gli unici davvero liberi di poter essere ciò che vogliono, chiusi forse nella loro maschera di follia ma liberi di tiranneggiare chiunque dovunque e comunque senza dover fornire spiegazioni, quelle, così come la comprensione, le lasciano agli sciocchi che si ostinano a pensare troppo, che si trattengono, che hanno (troppe) remore.
Inno, dunque, alla pazzia: vera astuta vincente tattica di vita.

domenica 22 maggio 2011

Le sere di maggio


Le sere di maggio calde, colorate, sorridenti, affollate, illuminate, compresse tra piante peudozanzara repellenti e vero condominio per vespe accoglienti riescono bene, tuttavia - credetemi - riescono ancora meglio staccando la spinta all'impianto stereo del palco ed eliminando atroci canti di quelli che - ti dicono - dovresti anche accompagnare (e che nessuno sano di mente mai accompagnerebbe) con le mani in alto che ondeggiano in cerca di qualcuno o di qualcosa che le liberi dalla musica che sta lentamente uccidendo il cervello che le obbliga muoversi.

lunedì 9 maggio 2011

D'in su i veroni del materno ostello



Malgrado si rivendichi da più parti la mia adozione, ho una bella famiglia e soprattutto un clan numeroso e godereccio. Da piccola mal sopportavo l'ennesimo matrimonio-comunione-cresima con i lunghi pranzi seduti. Pian piano però ci siamo evoluti: salto spesso le cerimonie, i pranzi non sono più solo seduti, i cuochi sono diventati sempre più raffinati, abbiamo inglobato nel clan anche rinomati gelatai e le cene sono diventate occasione per condividere luoghi e tempi della memoria, per fermarsi un attimo a contemplare la vita che scorre, bloccarla in una foto, in una cena, in una chiacchierata.
E ritrovarsi tutti insieme a Badia a Pacciana, luogo mitico della mia infanzia, dove tutto pare essere iniziato o almeno dove si perde l'albero genealogico del ramo pistoiese è un po' questo e un po' una puntata speciale di un telefilm tanto amato vent'anni dopo.
Badia non è nemmeno un paesimo, è una badia, un'abbazia circondata da vivai: un campanile, un chiostro, delle scale, un verone, quattro porte, un forno, il portichino circondati dal nulla, da minuscole strade tutte uguali con le fosse ai lati e i vivai intorno. Vivere lì per me sarebbe inconcepibile e, in effetti, non ho mai vissuto lì, non ho mai giocato nemmeno da piccola su quel verone, dove però la mia mamma e i miei zii hanno urlato, hanno riso, hanno pianto, sono stati bagnati dall'ennesima secchiata d'acqua della vicina intollerante ai bambini. E ogni anno, ad ogni settembre, in occasione della festa, in pellegrinaggio lì sono stata portata anch'io e ogni anno ho ascoltato i racconti dei giochi sul verone, del forno acceso a turno, dell'acqua che era a cento metri da casa, al portichino, della fortuna di avere il bagno in casa, della scuola accanto alla chiesa, della porta dove abitavano la bisnonna Bianca, la nonna Rosanna, lo zio Nardino e la zia Clara, dove la mia mamma veniva a farsi fare le trecce prima di andare a scuola.
Ieri mi sono regalata alla malinconia del ritrovarsi tutti grandi con i tavoli tondi nel centro del chiostro, a festeggiare due fortunati che stanno insieme da più di cinquant'anni, a tornare ad essere non io, ma a tratti "la figlia della Lori", a tratti "la nipote della Rosanna" e talvolta la professoressa dal nome impronunciabile che pare polacco: perché tutto il paese (con cui ho infinite relazioni di parentela che ignoro) naturalmente era lì con noi con l'abito della festa.
E ieri, di nuovo, le bambine con i fiocchi bianchi nei capelli e i boccoli hanno accompagnato tutte emozionate i loro bambini ormai parecchio cresciuti sotto il verone per il rito della novella dei tempi che furono.

domenica 1 maggio 2011

Quanto


Anche quest'anno niente colazione in Palazzo Vecchio alle sei. Prima o poi mi riuscirà, spero. Ho già preso accordi per la Notte Bianca del 2012 - son persona previdente, io - e faccio affidamento sulle paste ancora calde ordinate da Matteo.

Quanto ai treni, c'è invece solo da sperare e da munirsi di biglietto regionale con largo anticipo. A Pistoia, infatti, non si fanno biglietti dopo le 20 e le macchine addette all'emissione elettronica non funzionano; corri a Prato e provvedi, non volendo, per punto preso, regalare alle ferrovie 5 euro di maggiorazione sul biglietto su un totale di 6. Naturalmente il treno delle 00.25 da Santa Maria Novella arriva all'una e venticinque tra applausi, fischi e diti medi alzati.
A dieci giorni dal rientro da Londra, il paragone si impone devastante. Come sempre.

mercoledì 27 aprile 2011

Metti la cera, togli la cera


Proud to be part of London 2012, almeno finché potrò, finché non mi escluderanno.
Vogliono persone motivate? Eccomi.
Sono motivata da una vita per i giochi olimpici e per Londra.
Non mi tiro indietro. Cadrò comunque in piedi, con l'onore delle armi, sfoderando un sorriso convinto. Rincorrere un sogno, pur nella consapevolezza dei limiti, fa bene all'anima; alla mia certamente.
Mai avrei pensato, riempiendo l'application form che mi avrebbero dedicato mezz'ora di intervista telefonica in qualità di aspirante game maker volunteer. L'hanno probabilmente concessa a tutti i 70000 aspiranti: il fatto non rileva. L'hanno concessa anche a me e tanto mi basta per essere felice oggi. Là, in un ufficio a Canary Wharf, in mezzo alla scenografia di "Blade Runner", hanno chiamato me, che ero in Trafalgar Square a sventolare quattro bandiere nell'agosto del 2008, nel pomeriggio del passaggio del testimone da Pechino; me, che nel settembre 2008 già ero nella mailing list dei volontari; me, che credo davvero nello spirito olimpico e che ogni volta mi commuovo alle cerimonie di apertura; me, che oggi ho continuato a fissare il cellulare finché non ha suonato alle 15.31; me, che non credevo di essere in grado di sostenere una conversazione in inglese e invece me la sono cavata dignitosamente; me, cui l'intervistatore ha scandito ben bene le parole; me, cui l'intervistatore ha perdonato pronuncia e grammatica; me, che stasera sono orgogliosa di me stessa.

domenica 17 aprile 2011

Fa




Preparare una valigia fa bene, issare in spalla lo zaino blu fa bene, anche se dentro ci sono le schede sanitarie di tutti, le guide, l'universo mondo e la spalla ne porta ancora le stigmate. Partire fa bene, anche se hai l'ansia da controllo, anche se sei morta di sonno (e appena puoi, in effetti, crolli tramortita), anche se si deve partire prima dell'alba alla luce dell'edicola con i giornali freschi ancora impacchettati da caricare sul bus, anche se la palude stigia si insinua sorda ma tenace nelle telefonate. Partire fa bene, soprattutto con le persone giuste. E quest'anno con me c'erano e ci saranno solo le persone giuste. Entrare nel primo senato del Regno e commuoversi fa bene; inventare rap fa bene.
Accogliere viaggiatori, tutti in fila agitando le mani, fa bene, abbracciare chi ti conosce meglio di te stessa fa bene, fa bene vederla ridere e salire tonica e rapida su per lo scalone di S. Andrea.
Camminare, camminare, camminare e poi correre dietro una pallina gialla fa bene.
Appoggiarsi alla sedie, ignorare il mal di testa martellante, guardare il sole dell'ultimo giorno, condividere sorrisi e desideri di fuga, scrutare l'orologio regala l'orgoglio di chi è sopravvissuto al buco nero che tutto risucchia.
Londra fa bene. Il solo pensiero di Londra fa bene. E allora arrivederci al mondo, alla palude stigia e ai suoi sorrisi irrinunciabili. Torno a Casa.

domenica 20 marzo 2011

Traslochi


Mi ero data oggi come limite per togliere la bandiera dal terrazzo. Non ce l'ho fatta. Ho tolto l'albero di Natale e il presepe il 6 marzo, non mi si può sottrarre la bandiera dopo appena una settimana. Mi è stato già suggerito di tenerla fino al nuovo albero, cioè fino al 7 novembre o giù di lì. Sono nel Paese sbagliato per poterlo fare: mi prenderebbero subito per nazionalista. In Norvegia, Danimarca, Turchia, negli Stati Uniti, nella campagna inglese sarebbe normale e anche piacevole. Qui siamo giustificati solo per i mondiali (di calcio, ovviamente), quando non la espongo per principio, visto la pazzia annessa all'evento, con tanto di acqua rovesciata da condomini su chiunque (mirando al chiunque, naturalmente).
Insomma, forse domani opererò il trasloco, dal terrazzo al salotto. Di riporre la bandiera non se ne parla.

giovedì 17 marzo 2011

Paolo

Paolo Longo mi ha sempre affascinata per la precisione degli interventi e per la compostezza "britannica". Da studentessa delle superiori, me lo ricordo a New York, lo ascolto sempre volentieri e lo invidio anche: vive in una delle città più irresistibilmente ammalianti al mondo e lo pagano pure per starci. Dalla prima guerra del golfo per un decennio (questi per lo meno sono i miei ricordi) è il volto della Rai da Gerusalemme; per me è il Medio Oriente e uno dei più capaci analisti del complicato affaire medio-orientale. Cresce la mia stima e inizio a preoccuparmi per la sua incolumità, perché è diventato un po' come i personaggi del telefilm più amato: per quanto in maniera consapevolmente irrazionale ti affezioni a quel volto e a quella voce, per giunta nemmeno doppiata, lo aspetti la sera, all'ora consueta. Fa parte della tua giornata. E' come un vicino di casa.
Poi, dal nulla, mi trasferiscono Longo in Cina.
Oh, sciagurato! - penso. La Cina, infatti, non mi attrae affatto. Chi meglio di lui, però, potrebbe studiare e seguire il balzo da protagonista della Cina nell'economia mondiale? Capisco e mi rassegno. Non lo vedo più così spesso, anzi nei primi mesi dopo il trasferimento non compare proprio. Ogni tanto ci penso e mi preoccupo.
Ora te lo ritrovo a Tokio del post terremoto 9 Richter. Da lunedì si attendono venti che potrebbero, dovrebbero sospingere la nube nucleare verso Tokio. Paolo riporta la notizia con imperscrutabile serenità. E' Paolo Longo.

Luci


La stanchezza non si avverte perché le cose belle fanno bene quanto la giusta compagnia. Le belle iniziative fanno altrettanto bene, la pioggia non è un problema (a meno di un allerta meteo), il freddo ha avuto rispetto per l'evento e Firenze era vestita dei suoi abiti migliori. Anzi, una volta recuperate e sistemate le luci tricolori non vedo perché non lasciarle sempre, almeno su Palazzo Vecchio: sono sempre luci, energia elettrica per energia elettrica tanto vale che l'illuminazione sia fantastica. E ieri lo era. La città, le persone lo erano. Persino la mia frittura di pesce al cartoccio lo era. Solo i fuochi sono arrivati in ritardo di otto minuti. Matteo, un po' di puntualità la prossima volta. E' il solo appunto.

domenica 13 marzo 2011

Wavin' flag

Mai esposta e, con orgoglio, la bandiera in occasione dei mondiali di calcio, proprio perché mi irrita l'istinto patriottico solo per il pallone; ascolto volentieri e con robusta soddisfazione l'inno per le olimpiadi, soprattutto in quanto olimpiadi addicted, stavolta però ho già la bandiera che sventola dalla ringhiera del terrazzo. E con orgoglio.
Non vedrò il duecentesimo anniversario, quindi intendo godermi il centocinquantesimo. E vorrei assistere ad un'esplosione di tricolore nei prossimi giorni, perché per quest'idea dell'Italia unità tante, troppe persone sono morte, perché Garibaldi, in fondo, è uno che ha saputo prendersi la vita e spremerla fino in fondo, perché ho sempre nutrito una simpatia sviscerata per la real politik di Cavour, perché qui ci sono nata, perché il mio è un grande Paese dal passato unico e impareggiabile, con la più conturbante letteratura al mondo, con capolavori artistici irraggiungibili, dalle splendide città con inefficienti servizi pubblici.
Non ho cambiato idea, aspiro con la stessa determinazione di ieri all'emigrazione. L'Italia non è esattamente il mio Paese, non è né il migliore né il peggiore dei Paesi, ma è il luogo in cui sono nata, vivo e vivono la maggior parte delle persone che mi stanno a cuore, quindi non posso non voler bene a quest'Italia, per quanto spesso mi susciti insieme rabbia, tenerezza e anche un po' pena.

domenica 27 febbraio 2011

Così è

Invece della notte degli oscar in diretta, le copertine dei cd delle recensioni.
Si masterizza al pensiero di "Forza, Colin!"

Fin da piccola ho sempre cullato il desiderio di seguire in diretta la notte degli oscar. Tutti gli anni, mi sveglio ad intervalli irregolari e controllo il televideo, poi, rassegnata all'inevitabile, mi alzo, mi preparo e spesso esco senza conoscere i vincitori dei premi più ambiti.

lunedì 21 febbraio 2011

Pretendo


-6 alla notte degli oscar: attendo, pretendo il giusto riconoscimento per Il discorso del re, per Colin prima degli altri, per Geoffrey, per Helena.
Tre volte me lo sono già guardato, sempre drammaticamente in italiano e con l'audio del cinema Roma, non esattamente quello dell'Empire di Londra. Questo c'era, per adesso.
L'idea, la sceneggiatura, le inquadrature deformate e espressioniste, gli interpreti, la musica, i costumi, mi convince quasi tutto con l'eccezione della macchietta di Edoardo VIII.
Attendo il 27 e pretendo.

sabato 19 febbraio 2011

Esattamente così


Incontrovertibilmente così.

Sono

Sono nata e persevero (per necessità di stipendio unito ad un lavoro non disdicevole) nel paese sbagliato.
Consapevole che esistono paesi peggiori, cerco di trarne il meglio.
Non sempre mi riesce.

lunedì 7 febbraio 2011

Luce perfetta


Nebbia al mattino, nebbia di giorno, nebbia più fitta dopo il tramonto: una perfetta giornata con la migliore luce possibile.
So, capisco e comprendo che ciò implica un ristagno maggiore di agenti inquinanti e un pericolo per chi guida; rimane che la nebbia mi piace, mi affascina, mi rasserena, mi culla, mi ammalia ben più dello spietato raggio di sole.

domenica 6 febbraio 2011

Camminando

Ognuno ha proprie piccole manie. A me piace arrivare al cinema a piedi, camminando per le vie cittadine, chiacchierando del film o di qualunque altro argomento abbia atteso tanto per essere sviscerato proprio in quei minuti regalati. La passeggiata pre e post cinema è un tempo rubato che pretendo.
Non sono contraria alle multisale, solo non capisco perché nei dintorni vengano concepite solo come cattedrali nel deserto: o nella landa della periferia o con vista autostrada. Il Capitol di Bologna non si vergogna di affacciarsi sulla centralissima via Indipendenza e non è l'unico cinema multisala della zona.
Comunque, rassegnata benché ansiosa di concedermi Il discorso del re con Colin e colleghi e parecchia Inghilterra, ho atteso un'intera settimana dall'uscita ufficiale del film (non esattamente un titolo di nicchia), perché la pellicola, dalle lande, giungesse in centro. Naturalmente, per adesso, lo hanno relegato nel cinema più piccolo e più defilato. Non diciamolo a Colin, che ci facciamo una brutta figura.
Almeno la mia passeggiata è salva (manca il marciapiede sul lato del cinema in via Laudesi, ma tutto non si può pretendere).

domenica 16 gennaio 2011

Squarci


Possibile mi sia sfuggito? Più probabile sia stato distribuito malissimo; certamente non è giunto nel Comune dalle 5 sale di proiezione (in totale); di sicuro devo rimediare.
E domani ricomincia Fringe. Son notizie.

venerdì 14 gennaio 2011

Attesa

Vivo nell'attesa di aprile e di agosto. Voglio arrivare ad aprile e poi saltare d'un balzo ad agosto.
Dice sia più furbo vivere il presente. Sicuramente. Sicuramente dipende dal presente. Il noioso stancante massacrante presente può e deve essere lenito, ammansito più che si può, godendosi la speranza della felicità e agognando una splendida uscita di pena.

domenica 9 gennaio 2011

Che si sappia


Con fiera ostinazione continuo ad accendere l'albero di Natale e il presepe.

lunedì 3 gennaio 2011

Anche per me


In una settimana ho già ripreso le mie sane abitudini di nottambula e acerrima nemica dell'alba (dell'aurora e di quanto immediatamente ne consegue).
Domattina guardate l'eclisse di sole anche per me.

Troppo sole


Capisco che abbia piovuto anche troppo, capisco che sia poco comodo spostarsi costamentemente con il piumino con cappuccio incorporato (l'ombrello solo in caso di monsone convinto), eppure stamattina per me quel sole era già eccessivo.
Deve far caldo, questo sì, ma non necessariamente deve esserci un cielo celeste noiosamente monocolore e un sole convinto, con luce a cascata ovunque.
Offusca persino le luci di Natale, particolare decisamente inaccettabile.

sabato 1 gennaio 2011

Capita

Incrociare per caso un film (malamente) consigliato anni fa, decidere di guardarlo finalmente (un po' dubbiosa, a dir la verità), decidere dopo il primo quarto d'ora di correggere compiti con il film in sottofondo, convincersi senza appello che sia uno dei film più insignificanti e noiosi mai girati. Ripercorrere mentalmente tutti i film consigliati all'epoca dalla medesima persona, prendere nuovamente atto che di film e di molto altro questi non capiva davvero nulla. Trovare ennesima non orgogliosa conferma di aver impiegato troppo tempo per arrendersi all'evidenza.

2011

Anno nuovo, vita nuova e vecchie sane abitudini: mi son divertita a controllare voli estivi per Londra. Per aprile ho già prenotato.
Manca troppo tempo ad aprile.