venerdì 29 luglio 2011

Presto


Il programma di ripristino del bioritmo comune (non naturale) procede a rilento. E' che questa città pare dormire anche quando è sveglia, all'una di giorno giù quasi tutti i bandoni e il tempo autunnale con quella sua luce perfetta, è ideale per leggere "Much Ado", girare per la casa, aprire cassetti e pensare: "Lo porto. No, non lo porto. Dovrei?", aumentare le pile precise (per una volta) di indumenti e oggetti sopra la bandiera dispiegata apposta sul letto. Manca poco e manca troppo. Se manca poco, va comunque bene. E' il tempo giusto per perdersi nelle cartine, nei progetti, nelle liste, nelle stampe e soprattutto non lasciarsi intristire da niente. Quasi tutto è meno importante. Chi è intorno lo sa, lo vede ed è indulgente.
In aprile sveglia alle 6.30, colazione alle 7 e via: per alzarsi presto (ed affrontare il freddo oltrettutto), ci devono essere ragioni di ferro, anzi d'acciaio. Ad aprile intorno c'era il tutto, il troppo pieno, casa. Nei giorni scorsi mi è persino venuto di mente di alzarmi presto (qualche volta e senza svegliare i compagni di vita e d'avventura) per andare a correre nel parco, per un minuto e mezzo - s'intende -, poi sedersi, fotografare, leggere, sorridere, assaporare compiaciuta il momento, il luogo, lo smog.
Quindi, ho aggiunto la tuta sulla bandiera.

domenica 24 luglio 2011

Bologna


Nella casa sospesa sopra la stazione dove mi si conosce meglio di me stessa e mi si apprezza per questo e nonostante questo, dove c'è il mio spazzolino, dove mi si apre se prometto di non portare generi di conforto, dove si condividono le stesse passioni, si apprezzano gli stessi amici, si indulge col sorriso alle mie ossessioni e alle mie mancanze, dove nascono e si condividono le idee migliori nonché abiti e scarpe col tacco, dove si lasciano disegni sul pavimento e una scatola con i coriandoli sul tavolo di cucina, dove si stendono liste, dove si progettano giorni felici.

martedì 19 luglio 2011

Volte


Finalmente un cielo per cui valga la pena alzare gli occhi: vario, corposo, mimaccioso, intrigante, complicato, sinuoso, turneriano e anche un po' voltemortiano.

Contrattacco

Basta. I primi giorni il profumo di bombolone appena sfornato è stata una dolce sorpresa notturna. Dopo quindici giorni ero pronta a bussare al forno sotto casa, in pigiama, così ieri son passata al contrattacco. La sera mi son trovata di fronte una buona pasticceria quasi per caso, ho cercato quella che si ostinano a chiamarmi ciambella e me la son comprata. Ho mangiato di gusto metà bombolone subito e metà con un sorriso beffardo di somma soddisfazione al sopraggiungere dell'infingardo profumo.
Il problema è che stanotte sarò di nuovo punto e a capo.

lunedì 18 luglio 2011

Una


Ultimamente (sempre) sono una si commuove facilmente e - ho l'impressione - che talvolta si autocompiace della propria commozione. Non è un pregio oltre un certo limite. Nel personaggio non precario del passato la lacrima facile cominciò ad infastidirmi, probabilmente anche perché associata alla passività o alla resistenza passiva, che - credo, penso, spero - non mi appartiene.
Sarà che ho dovuto salutare le piccole grandi persone con cui ho condiviso tre anni: piangevano loro, figuriamoci io; ho visto poi un piccolo grande eroe stringere i denti, affrontare le tragedie vere, quelle non virtuali, quelle che fanno male davvero e possono uccidere e superare un anno e un esame a pieni voti. Ma mi commuovo anche per meno. M'hanno proiettato l'ultimo Harry Potter e giù a piangere da metà film. Non per il non capolavoro cinematografico, s'intende; per la storia, per una parte di vita che si chiude. Poi ci sarebbero i libri (l'ultimo capitolo de Il signore degli anelli), i film e i telefilm a pianto sicuro (The notebook, l'ultima puntata della terza serie di Gilmore Girls, l'ultima puntata di Dawson Creek). E poi c'è una sera in cui vai a Quarrata ad ascoltare un saggio di fine anno di piccoli musicisti e dopo un "YMCA" e una marcia trionfale dell'Aida (in questo esatto ordine), tutti i musici e i coristi si riuniscono sul palco, entra uno dei ragazzi più grandi con bandiera tricolore apprezzabilmente ampia, sale su un cubo e inizia ad agitare il vessillo; i fiati attaccanno l'inno di Mameli e tutta la platea in maniera spontanea si alza e si unisce, (alcuni) con la mano sul cuore. Io, naturalmente, canto e lacrimo. Mi fa un po' rabbia quest'amor di patria riscoperto solo ora, per caso, per una volta senza i mondiali di calcio a tiro di pallone, eppure cedo comunque ad una lacrima. Una, eh.
In ogni caso sono sempre lacrime di commozione. Per tutto il resto del tempo l'imperativo morale è ridere di gusto il più possibile, benché non sempre mi riesca.

giovedì 14 luglio 2011

Harry Potter: l'afa lo uccide


Ecco, quella nella foto sarebbe stata la situazione ideale stasera per la prima dell'ultimo Harry Potter: ai 18 gradi torinesi delle 21, sulle meravigliose poltrone/lettini della Mole Antonelliana. Non è esattamente andata così. Anzi non è andata proprio.
E ne son contenta.
Potevo forse aspettare domani? Non esiste. Le attese non fanno per me. E poi era l'ultima prima e ci volevo essere, visto che non ero (solo per causa di forza maggiore) tra i matti accampati sulle pietre di Trafalgar mercoledì e giovedì scorso. Comunque, all'ombra dei 32 gradi delle 20.45 sono partita da casa con un misto di allegria, agitazione, malinconia: già è stato durissimo congedarsi dai libri. Ho letto, apprezzato, sottolineato le pagine, le parole; ho commentato, ho messo gli asterischi, ho cerchiato in rosso le orrende traduzioni con i pronomi relativi a caso; ho sorriso, ho riso, ho trepidato, ho sofferto, ho pianto e alla fine, quando sono proprio arrivata in fondo all'ultimo capitolo e all'ultimo rigo (letti prima, come sempre), mi sono consolata al pensiero dei libri in originale e dei film.

Andare a a vedere l'ultimo film è un piacere, un'emozione e una sofferenza, un altro congedo necessario da Harry, che ormai quasi trentunenne conduce una vita tranquilla in qualche parte dell'Inghilterra.
E invece, c'è stato l'ennesimo colpo di scena.
"Un guasto grosso - spiega l'addetta ai biglietti -, la proiezione del pomeriggio è stata bruttissima. Salta la luce. E' troppo caldo. Il tecnico sta lavorando, ma non sappiamo come finirà." Funzionano solo le altre due sale: nella 2 c'è Trasformers, nella 3 Harry non in tre D, già iniziato. Dopo un quarto d'ora pare tutto risolto e la folla di potteriani doc - giovani, meno giovani, vecchi, bambini - sale ad ampie falcate le scale della sala 1 armata di gelato e acqua. La solita pubblicità, poi finalmente il logo uncinato della Warner B. e uno spontaneo applauso da parte di tutta la sala. Ecco Ron e, sì, c'è anche Harry e soprattutto c'è il fratello maggiore Weasley, Bill (un fantastico Domhnall Gleeson), che compare in un numero troppo davvero troppo ridotto di scene, ed ecco Snape/Piton sempre più Renato Zero dei noiartri.
Ron e Bill a parte, anche la storia e il film mi rapiscono: rido, apprezzo, scuoto la testa per le innovazioni, sono tentata di unirmi all'applauso della sala per il primo bacio di Ron ed Hermione, piango (sempre anche per la consapevolezza che comunque qualcosa di bello sta finendo), quando sul più bello, mentre Harry entra nella foresta proibita e io lacrimo oltremodo ridicola con gli occhiali da 3d sopra i miei, quando, appunto, scompare lo schermo, si spenge l'aria condizionata e si accendono le luci d'emergenza. Dal nulla un caldo soffocante, gente che si precipita fuori sala a comprare l'acqua, altri che chiedono. "Troppo caldo" è la risposta. Per un sovraccarico di energia, è saltata la luce - di nuovo - in tutto il cinema. I tecnici dell'Enel, avvertiti, non intendono scomodarsi prima di domani, pare. Attendo nell'afa sempre più opprimente. Offrono di firmare i biglietti da utilizzare per una nuova proiezione nei prossimi giorni. E io risorgo. Niente più congedo definitivo stasera. Per me l'ultimo Harry Potter ancora non è finito. E' sempre lì ai margini della foresta proibita. Almeno fino a domani sera.
A meno che l'afa non lo inchiodi ancora lì, di nuovo. Laddove Voldemort ha fallito, l'afa ha trionfato.

martedì 12 luglio 2011

Tra le tre e le quattro e mezzo

In queste notti tra le tre e le quattro e mezzo s'intrufola deciso dalla finestra di camera il profumo intenso di bomboloni caldi.
Prima o poi scendo anche in pigiama e ciabatte, mi affaccio dentro il laboratorio, cercando di non spaventare il panificatore/pasticciere, e pretendo, chiedo, imploro un bombolone appena sfornato.
Che poi - non capisco - non ricordo bomboloni tra le paste di quel panificio; forse anche in inverno se li mangiano tutti i vicini nottetempo o subito all'apertura, forse mi incanta il mero profumo delle paste appena sfornate che per me è comunque e sempre il bombolone fritto, gettato nello zucchero e mangiato ancora bollente a Badia, durante la festa. Il bombolone vero - sia chiaro - quello col buco senza ripieno, quello che sa di pasta burrosa e di zucchero, che sa di buono - qualsiasi cosa ci sia in quell'impasto. Oppure è la frittura a rendere un semplice impasto di farina, acqua e qualcos'altro, un profumo e un sapore inchiodati nel palato e nella memoria da sempre. Francamente lo ignoro. Per me il cibo nasce già pronto. Comunque, un po' di burro ci deve pur essere in quel profumo/sapore diabolico. C'è il burro in tutto ciò che più mi piace: nelle paste di Paul, in quelle dei paesini dispersi sulle Dolomiti, in quelle di Berlino, persino nelle "macine" del Mulino Bianco. Quindi, per deduzione anche nei bomboloni della mia memoria e in quelli ( per me virtuali) del mio vicino panettiere/pasticciere ci deve essere il burro.
Non m'intendo di cucina, m'intendo di film e di poco altro, quindi tendo a fidarmi di Julie Powell in Julie & Julia:

"Fatemelo dire: c'è niente di meglio del burro? Pensateci, quando assaggiate qualcosa di squisito e dite: "Ma cosa è?". La risposta è quasi sempre: "Il burro". Se un meteorite si dirigesse verso la terra e avessimo solo trenta giorni da vivere, li passerei mangiando burro. La mia ultima parola sull'argomento: il burro non è mai troppo."

E nemmeno i bomboloni, soprattutto il profumo, la fragranza del bombolone tra le tre e quattro e mezzo nel silenzio della notte di luglio (perché ad agosto il panettiere se ne va in vacanza).

domenica 10 luglio 2011

Cieli e tapparelle


Una volta l'anno, una settimana, due al massimo, mi godo il castello col prendisole giallo o con quello azzurro, latte, caffè, cereali, schiacciata e galletti, Jane Austen e dvd a iosa (Il discorso del re, il primo Harry Potter, Orgoglio e pregiudizio della BBC, ecc.), esco quando ne vale la pena e soprattutto dormo, di giorno. E dormo tanto. E sto bene.
Qualcuno si preoccupa perché dormo troppo: che devo dire? Son fatta di sonno. E poi mica me lo posso permettere sempre? D'inverno la sveglia suona sempre troppo presto, è freddo e piove poco, per i miei gusti.
Sono anglosassone dipendente (anche il Canada, la Germania e la Scandinavia e la costa orientale degli Stati Uniti non mi sono indifferenti), ma nasco in un involucro mediterraneo. Sto bene sopra i 23 gradi C, benissimo fino ai 30, me la cavo fino ai 35. Quando i comuni mortali stramazzano col fazzoletto in mano, li guardo compassionevole.
Una contraddizione solo apparente. Sotto cieli migliori sono capace di alzarmi alle sei e trenta con un sorriso da parte a parte. Se è fresco, mi copro; se piove, son contenta. Detesto il sole e i cieli italiani estivi monocolori, almeno quelli della piana senza nuvole, senza nulla. Fuggo il sole che mi trova comunque e sempre. Non piove mai e c'è questa luminosità diffusa e implacabile. E io dormo. A meno di impegni, selezionati. La sera spalanco tutto e riemergo e faccio ciò che voglio. Fino all'alba. Verso le quattro e mezzo il forno della strada accanto mi regala un portentoso profumo di bomboloni caldi. Tutto questo in attesa di cieli migliori, s'intende.
Dovendo attendere, meglio accontentarsi il più possibile.

domenica 3 luglio 2011

Un mese


Un mese è ben poca cosa ed è anche il tempo giusto per pensare, studiare, vagliare, sognare, architettare, pregustare luoghi, indirizzi, dettagli, bagagli, volti. Il resto lo decideremo lì per lì nel patio, nel soggiorno o nel parco. E "ci tornerà bene."