giovedì 17 marzo 2011

Paolo

Paolo Longo mi ha sempre affascinata per la precisione degli interventi e per la compostezza "britannica". Da studentessa delle superiori, me lo ricordo a New York, lo ascolto sempre volentieri e lo invidio anche: vive in una delle città più irresistibilmente ammalianti al mondo e lo pagano pure per starci. Dalla prima guerra del golfo per un decennio (questi per lo meno sono i miei ricordi) è il volto della Rai da Gerusalemme; per me è il Medio Oriente e uno dei più capaci analisti del complicato affaire medio-orientale. Cresce la mia stima e inizio a preoccuparmi per la sua incolumità, perché è diventato un po' come i personaggi del telefilm più amato: per quanto in maniera consapevolmente irrazionale ti affezioni a quel volto e a quella voce, per giunta nemmeno doppiata, lo aspetti la sera, all'ora consueta. Fa parte della tua giornata. E' come un vicino di casa.
Poi, dal nulla, mi trasferiscono Longo in Cina.
Oh, sciagurato! - penso. La Cina, infatti, non mi attrae affatto. Chi meglio di lui, però, potrebbe studiare e seguire il balzo da protagonista della Cina nell'economia mondiale? Capisco e mi rassegno. Non lo vedo più così spesso, anzi nei primi mesi dopo il trasferimento non compare proprio. Ogni tanto ci penso e mi preoccupo.
Ora te lo ritrovo a Tokio del post terremoto 9 Richter. Da lunedì si attendono venti che potrebbero, dovrebbero sospingere la nube nucleare verso Tokio. Paolo riporta la notizia con imperscrutabile serenità. E' Paolo Longo.

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