lunedì 9 maggio 2011

D'in su i veroni del materno ostello



Malgrado si rivendichi da più parti la mia adozione, ho una bella famiglia e soprattutto un clan numeroso e godereccio. Da piccola mal sopportavo l'ennesimo matrimonio-comunione-cresima con i lunghi pranzi seduti. Pian piano però ci siamo evoluti: salto spesso le cerimonie, i pranzi non sono più solo seduti, i cuochi sono diventati sempre più raffinati, abbiamo inglobato nel clan anche rinomati gelatai e le cene sono diventate occasione per condividere luoghi e tempi della memoria, per fermarsi un attimo a contemplare la vita che scorre, bloccarla in una foto, in una cena, in una chiacchierata.
E ritrovarsi tutti insieme a Badia a Pacciana, luogo mitico della mia infanzia, dove tutto pare essere iniziato o almeno dove si perde l'albero genealogico del ramo pistoiese è un po' questo e un po' una puntata speciale di un telefilm tanto amato vent'anni dopo.
Badia non è nemmeno un paesimo, è una badia, un'abbazia circondata da vivai: un campanile, un chiostro, delle scale, un verone, quattro porte, un forno, il portichino circondati dal nulla, da minuscole strade tutte uguali con le fosse ai lati e i vivai intorno. Vivere lì per me sarebbe inconcepibile e, in effetti, non ho mai vissuto lì, non ho mai giocato nemmeno da piccola su quel verone, dove però la mia mamma e i miei zii hanno urlato, hanno riso, hanno pianto, sono stati bagnati dall'ennesima secchiata d'acqua della vicina intollerante ai bambini. E ogni anno, ad ogni settembre, in occasione della festa, in pellegrinaggio lì sono stata portata anch'io e ogni anno ho ascoltato i racconti dei giochi sul verone, del forno acceso a turno, dell'acqua che era a cento metri da casa, al portichino, della fortuna di avere il bagno in casa, della scuola accanto alla chiesa, della porta dove abitavano la bisnonna Bianca, la nonna Rosanna, lo zio Nardino e la zia Clara, dove la mia mamma veniva a farsi fare le trecce prima di andare a scuola.
Ieri mi sono regalata alla malinconia del ritrovarsi tutti grandi con i tavoli tondi nel centro del chiostro, a festeggiare due fortunati che stanno insieme da più di cinquant'anni, a tornare ad essere non io, ma a tratti "la figlia della Lori", a tratti "la nipote della Rosanna" e talvolta la professoressa dal nome impronunciabile che pare polacco: perché tutto il paese (con cui ho infinite relazioni di parentela che ignoro) naturalmente era lì con noi con l'abito della festa.
E ieri, di nuovo, le bambine con i fiocchi bianchi nei capelli e i boccoli hanno accompagnato tutte emozionate i loro bambini ormai parecchio cresciuti sotto il verone per il rito della novella dei tempi che furono.

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