lunedì 29 agosto 2011


"Le vacanze estive inferiori ai venti giorni dovrebbero essere dichiarate fuori legge" - sostiene la Vale. E ha ragione.
Di solito al ritorno dalla mia misera settimana a casa ero distrutta. Non che stavolta non avverta il rebound, non che non mangi persino gli insipidi rich tea biscuits della Tesco con malinconica nostalgia, eppure me la cavo abbastanza bene. Sono stata così serena, felice, (anche troppo) soddisfatta (a giudicare dalle foto) per venti giorni che ancora ne avverto l'effetto positivo sull'umore. Guardo qui intorno l'umanità offesa e piegata dal caldo con un misto di pietà, di affetto e di distacco, come se non fossi anch'io nella cloaca dei 37 gradi ed oltre.
A tratti la sensazione di buono, il mood londinese è la stessa che si prova al risveglio dopo un bel sogno. Ma là sono stata, là mi sono svegliata per venti giorni, sotto il piumone, nella stanza illuminata anche di notte dal lampione che dava sul roof, là mi sono svegliata col sorriso, tirando su le tapparelle color legno, per verificare che Holland Park e la casa dei sogni di fronte, quella con la cucina con l'isola, fossero reali, fossero sempre accampati là di fronte. Là mi sono svegliata con Vivaldi, là ho fatto colazione con il latte alla panna e i digestive, decidendo i dettagli della giornata con uno sguardo al cielo a volte meravigliosamente imbronciato, a volte semplicemente grigio, a volte con le nuvole che corrono.
Sono stata così bene che ancora mi porto dentro quel bene. Continua a vincere la sensazione del buono che c'è stato, dell'orgoglio di esser stata scelta ed inclusa, di tutto quanto ho condiviso: dagli hamburgher di Giraffe, al teatro in mezzo al parco, alla volpe, al mio Globe, all'afternoon tea da Max, all'Harry da tube e agli abbracci veri, da vero telefilm, dell'ultima sera.

Nessun commento: