sabato 18 luglio 2009

Martina, Giacomo (Leopardi) ed Eugenio (Montale)

Martina non ama particolarmente la poesia perché è convinta che non le appartenga, di non capirla. La poesia è per lei sinonimo di gran fatica e frustrazione. Poi le buttano lì di fronte Il pensiero dominante di un Giacomo Leopardi squassato dall'amore, innamorato perso - alla non tenerissima età di trentadue-trentaquattro anni - non tanto di qualcuno quanto dell'amore, pensiero dominante della sua vita in quel momento. Chiedono a Martina di scrivere la parafrasi e il commento alla poesia. E Martina si arrampica, insieme ai suoi amici, sui versi di una fra le composizioni più ostiche del grande Giacomo. Il senso di non appartenenza a quel linguaggio le rimane, è però stupita dal tema: non avrebbe mai pensato che Giacomo fosse così - ammette. Così come? Un uomo che si innamorava e che, per quanto "de' nostri mali esperto", per quanto abbia più volte pensato che "la vita della morte è più gentile", "per cor le gioie" dell'amore, "provar gli umani affanni, / e sostener molt'anni / questa vita mortal, fu non indegno". E questo non perché il suo amore venisse ricambiato, tutt'altro, perché sentirsi squassati dal pensiero dominante, "dolcissimo, possente / dominator di sua profonda mente" conferisce senso alla vita, anche quando ti scaraventa violentemente contro gli scogli. Poi il momento passa, il pensiero, quel pensiero non domina più la sua mente, subentra il disincanto, il rintocco funebre di un momento, di una stagione della vita. "Perì l'inganno estremo, / ch'eterno io mi credi", scrive Giacomo in "A se stesso".
Martina deve scegliere una poesia per analizzarla e commentarla, sceglie Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale di Eugenio Montale. Il poeta, l'uomo ha già sessantasette anni, Mosca, la sua compagna di vita, è morta e lui ne sente la mancanza, avverte il vuoto intorno ad ogni scalino che è costretto a scendere da solo, non più a braccetto con lei. Eugenio è monco, una parte della sua vita non c'è più, la parte migliore, quella tra i due con "le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate", quella che era sempre riuscita a ricondurlo indietro quando qualche pensiero dominante aveva preso il sopravvento, quella che c'era sempre, che lo sosteneva ad ogni scalino, quella che ora non c'è. Più.
I poeti sono uomini, Martina. Sono esseri umani che ridono, amano, soffrono, si fanno ingannare, hanno ingannato, uomini che trasformano le cicatrici di una vita in parole. Non sono diversi da te, da noi. Per questo li leggiamo. Per questo Giacomo ti ha colpito, per questo hai scelto Eugenio.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Martina è fortunata ad averti incontrata. Vedrai che s'innomorerà dei "poeti uomini".
Un bacino.
Ale

steficab ha detto...

Martina è fortunata ad avere incontrato Giacomo ed Eugenio. Non ho scelto io i testi, in questo caso. La poesia è grande perché l'uomo è grande. Un'altra piccola grande persona via Facebook ha ricordato il suo miracolo, la sua illuminazione giunta grazie al V canto dell'"Inferno", altri versi che danno voce alle corde più intime dell'uomo Dante.